17.11.08

A volte ritornano

Ci risiamo.
Ebbene, sapete, ho passato questi mesi un po' dentro me stessa, alla ricerca di certe motivazioni e via dicendo; insomma, una triste e consueta storia di solipsismo che senz'altro non siete venuti qui per leggere. Se siete ancora qui, invece, è senz'altro per qualche altro motivo che ancora mi sfugge; ma devo ringraziarvene immensamente.
Se, infatti, a ventiquattr'anni ormai da qualche giorno suonati, ho ancora il desiderio di sedere qui e scrivere, lo devo in primo luogo a voi, chiunque siate, che in quasi tre anni di saltuaria frequentazione (mia e vostra) di questa bettola della chiacchiera romantica mi avete tenuta stretta alla tastiera con le vostre tante, piccole sorprese quotidiane.
E di quanto queste abbiano riempito certi sghembi spazi residuali della mia esistenza mi sono accorta solo quando ho voluto privarmene, per riuscire a ripercepirne l'importanza. E deve aver funzionato. Che dite?

Ma bene, basta con i lacrimoni. Oggi è giorno di festa!
Se ne avrò il tempo e il modo (leggasi, l'aiuto ;>) farò, come promesso, un po' d'ordine qui nella catapecchia.
Nel frattempo però, va detto, non sono stata propriamente con le mani in mano. Ho studiato, come mio solito, ed ho deciso di aprire quell'altro blog di cui avevo cominciato a parlarvi mesi or sono. Devo dire che non va ancora propriamente a regime, ma si tratta di qualcosa di serio, che richiede studio approfondito prima della scrittura e che ha fini di indagine a livello professionale. Insomma, ho bisogno di tempo. :)
Se intanto volete dargli una sbirciatina, ecco qua: http://architetturadifficile.wordpress.com/.

E allora dunque, in alto i calici. Bentornata a me e bentrovati voi. Si ricomincia!


[Marlene Dumas, Genetiese Heimwee, 1984]

20.7.08

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine


Da più parti mi si chiede cosa sia della mia ispirazione, in quale oscuro antro della mia vita mentale l'abbia ricacciata, e in cambio di cosa; l'unica risposta che mi è dato fornire è che non c'è una risposta degna d'essere fornita. Ho da studiare, sono molto stanca, non trovo il tempo, sono le forme verbali sotto le quali al mio meglio riesco a trasferire, a chi me lo chiede, il senso di questo repentino silenzio che avvolge I caratteri, e me, da lunghi mesi a questa parte.
Forse una sorta di horror pleni conseguente al disordine cronico da cui la mia vita è affetta da sempre, o, almeno, da quando ho ricordi: il silenzio di tutti i sensi, e dei sentimenti, che vuole permettere un defrag complessivo della mia intelligenza. Voglio ricominciare facendo tabula rasa di tutta la zavorra che ho accumulato fino ad ora.
Avrei senz'altro bisogno di cambiare casa.
Avrei probabilmente bisogno di cambiare città.
Avrei forse bisogno di cambiare compagnie.
No, forse no.
Mi basterebbe cambiare punto di vista, e se c'è una sola cosa per la quale salvo l'estate, questa è la possibilità che mi dà di poter leggere liberamente romanzi, cioè autori, di trasformarmi in essi, di assumere la loro ottica e vivere una piccola vita lunga approssimativamente un mese, una vita nuova, una prospettiva fresca, come la mia piccola stanza persa nel Salento, bianca dei suoi pochi oggetti, quasi tutti cimeli di viaggio.
L'anno scorso è stato H.H., in cui ho scoperto un amante / alter ego teutonico perfetto. Quest'anno avrei voluto tuffarmi in qualcun altro, ma non credo che sarà possibile.
Studierò, ma se mi riesce, lo renderò un piacere altrettanto visceralmente raffinato.

E in autunno tornerò rinnovata, almeno un poco, e riprenderò a scrivere.
Lo prometto.
Prima, magari, aprirò la finestra e passerò un poco la pezza qui dentro, perché sento odore di chiuso, e c'è polvere ovunque.
E intanto vi farò quella sorpresa di cui vi stavo parlando. Ci sto lavorando, non temete.

6.6.08

Stiamo lavorando per noi

Il mio calderone pullula di novità. A presto un nuovo abitante della rete :)
Perdonatemi, dunque, se vi tengo sul filo!


[Liberamente tratto da http://francesco.cattani.googlepages.com/]

23.5.08

L'architettura del sonno

Se esiste un disturbo legato all'inversione dei ritmi sonno/veglia anche al di fuori di quelli causati dai viaggi tra fusi orari, io ne soffro di sicuro. In generale vado a letto abbastanza tardi e la mattina per me è sinonimo di tortura, ma prima d'ora non avevo mai raggiunto tali livelli di squilibrio.
Ieri mattina mi sveglio presto: alle 8, poi alle 8.30, poi alle 9.30 (è la prassi). Ho revisione al Politecnico e così ci vado a piedi. Mezz'ora abbondante per arrivare, trenta secondi di revisione, e di nuovo sulla via del ritorno, sempre a piedi. La distanza è lunghetta, saranno 2 chilometri e passa, ma ci sono abituata.
Tornata a casa, dopo pranzo, prima botta di sonno. È normale, direte. Certo, la sera prima avevo fatto forse le 2.30, diciamo che ci sono state nottate migliori. Ma è pur vero che se devi uscire di casa alle 14 (sempre per tornare al Politecnico), non è il caso che ti metta a dormire alle 13.55. Perchè poi è chiaro che ti svegli di soprassalto alle 14.25, con la lezione che inizia alle 14.30.
Va bene, allora scrocco un passaggio in macchina e il ritardo del professore mi aiuta a non perdere la lezione (e persino a schiaffarci di mezzo un salto dal giornalaio che in mattinata aveva cercato di rifilarmi Area 96 al posto di Area 97: welcome to the jungle). Lezione che si prolunga ben più del previsto, peraltro, e tra frizzi e lazzi non sono a casa che per le 19.30.
Il tempo di dire "ai e bai" (modo di dire popolare preso a prestito da mio padre, che peraltro data la sua ossessione potrebbe tranquillamente mutarlo in "I eBay" rendendolo senza dubbio più credibile) ed è l'ora di cena.
Altra botta di sonno. Ma di quelle pesanti. Scatta così il rito del riposino prima di dormire, usanza da me inventata che, insieme a quella dello spuntino prima di mangiare, può solo vagamente dare un'idea della sregolatezza totale delle mie abitudini basilari.
Per farla breve, dormo dalle 21 a mezzanotte. Poi mi sveglio, un po' rinvigorita. Le ultime attività, e per l'una posso andare a dormire sul serio. Solo che non ho più sonno. Mi rivolto tra le lenzuola per un'oretta e poi mi arrendo, non è cosa. Quasi quasi mi metto a leggere.
Ma anche su questo fronte le cose non vanno lisce come dovrebbero. Perché dovete sapere che per me leggere a letto è una tragedia. In generale mi addormento nel giro di dieci minuti ogni qualvolta mi trovi in posizione orizzontale o anche solo vagamente obliqua (purché non in compagnia, è ovvio), a prescindere da quale sia il supporto: di conseguenza leggere a letto mi riesce impossibile. Questo indubbio vantaggio, però, per una certa insana ironia, si annulla in caso di insonnia notturna. E così, se intendo procurarmi un po' di sonnolenza, leggere è addirittura controindicato, perché finisce che l'interesse per l'argomento mi fa addirittura dimenticare che dovrei dormire e mi ritrovo a salutare l'alba.
Mi è stato suggerito, in questi casi, di leggere qualcosa che mi annoi mortalmente. Questo potrebbe in effetti funzionare, se non fosse che, così facendo, dopo poco mi ritrovo inesorabilmente a seguire i caratteri solo con gli occhi, come se fossero segni privi di significato, mentre la mente lavora assai più prolificamente a fantasie di un qualsivoglia altro genere, che comunque in definitiva non facilitano il sonno; e in ogni caso, se anche così non fosse, l'edonismo di cui sono preda in questo periodo mi impedirebbe fisicamente di occuparmi di qualcosa che non mi interessi, ripagandomi in quelle occasioni con un vero e proprio malessere somatico oltre che con un insostenibile fastidio psicologico. Un'intolleranza alla noia, in qualche modo.
Stanotte, dunque, ho finito di leggere L'architettura difficile - filosofia del costruire, di Nicola Emery, edito da Marinotti. È di questo che si sarebbe dovuto occupare il post di oggi, ma devo arrendermi per l'ennesima volta alla dolorosa constatazione che le mie capacità oratorie sono assai più inclini a lasciarsi mettere a frutto nel futile piuttosto che nell'utile. Di conseguenza, non so neanche se sia o meno il caso di accennare una critica al testo: non confidando molto nella scorrevolezza della mia scrittura, temo infatti di aver ben superato il quarto d'ora di attenzione a mia disposizione in quanto blogger, con questa interminabile serie di fandonie.
Sarà per il prossimo post, allora. Che brivido, che suspance!



19.5.08

11.5.08

7.5.08

Il bacio del bentornato


At first glance, this may look photoshopped, but it is actually a real sculpture! The author is Tsang Cheung Shing from Hong Kong. He created this installation for a pottery exhibition of “YingYeung” - a drink mixture of coffee and tea (very popular local drink in Hong Kong). The pottery, named Yuanyang II, is one of the collections of Hong Kong Museum of Art now displaying at the Central Concourse of Hong Kong International Airport (HKIA). Tsang Cheung-shing is a ceramic art tutor and product designer. Yuanyang II is modeled in a distinctive form with two figures indulged in kissing each other. Their heads support two elegant cups for drinking tea and coffee. The form and concept design fully complement the theme “Yuanyang" not only typical Hong Kong beverage of mixing tea and coffee which was already mentioned, but also a symbol of marriage and love.

Fonte: http://www.moillusions.com/

No, non si tratta di qualcosa che ho visto a Roma in questo bel weekend appena trascorso; sono infatti immagini e parole proditoriamente rubate ad un altro sito, tutto qui.
Ma in qualche modo mi sento rappresentata da essa. Anzi, in molti modi.
Tra questi, la mia passione per il té che è nota a chi mi legge da più tempo (ben pochi occhi, ahimè :D). In quel della splendida via dei Banchi Vecchi, al numero 124, per chi di voi dovesse passarci, c'è la stupenda bottega BiblioTéq, nella quale stavolta ho fatto rifornimento di verdi giapponesi: un Sencha Fukuyu per la pausa mistica del pomeriggio ed un Houijicha che non aspetta altro che una serata sushi. E, ovviamente, caramelle, tante caramelle. A base di té nero e Matcha. Ve l'ho mai detto che potrei cedere il mio regno, per un bonbon?

30.4.08

Good news

Sono lieta di annunciare l'appuntamento segnalato dagli amici della nuova bottega del riuso aperta a Bari vecchia. Ne avevamo già parlato, ricordate?

RI-BELLE presenta:

"E' L'ORA DELLA RICREAZIONE!" incontri, arte, musica sul tema del riuso creativo Auditorium Vallisa, 2-8 maggio 2008

Cooperative, associazioni e singoli raccontano la propria esperienza di riuso dei materiali, autoproduzione e recupero di beni a partire da ciò che solitamente è considerato scarto. Questa pratica, da sempre presente nei mestieri tradizionali come arte antica del sapersi arrangiare, è andata progressivamente perdendosi nel tempo, rappresentando di fatto per il nostro territorio un elemento di impoverimento culturale.

La ricreazione evoca un momento di gioia e svago, è un' isola di tempo felice che tutti dovrebbero ritagliarsi durante la giornata; la ricreazione coincide anche con il concetto di creatività che Ri-belle vuole promuovere: un distacco dalla routine e dalla noia, dal razionale e dagli impegni, la capacità di vedere gli oggetti e i materiali fuori dalle loro funzioni consuete (Ri-belle è immaginare ovunque il bello, convincersi che può esistere e impegnarsi per realizzarlo attribuendo valore a ciò che sembra non avre più alcuna utilità).
PROGRAMMA:

Venerdì 2 maggio, h 18.00

Tavola rotonda sul riuso creativo a cui interverranno:
-Ribelle
-Assessorati del comune di Bari a Pubblica Istruzione, Formazione ed Ecologia
-Coop. sociale Ecopolis, Bari
-Coop. sociale Zingari59 di Roma
-Associazione culturale Occhio del Riciclone, Roma,
-Coop. sociale Binario Etico, Roma
INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA DEGLI ARTISTI E ARTIGIANI DEL RIUSO (apertura: 2-8 maggio, h 18-22)

Sabato 3 maggio

h 9.00 - 13.00
Laboratorio con i bambini della scuola Elementare Piccinni di Bari di autocostruzione di strumenti musicali con materiali di recupero a cura del maestro Daniele Sarno; a conclusione del laboratorio esibizione musicale aperta al pubblico (h 12.00)

h 18.00
Performances e installazioni artistiche

h 20.00
"Percussioni Trash" by Luigi Morleo

***

E in più:

Bari - dal 19 aprile al 9 maggio 2008
Salvatore Saccà - La guerra degli Dei | GALLERIA LINEA D'ARTE

L'artista rappresenta l'essere caosmico dell'esistenza guidandoci verso il mistero della vita

Bari - dal 24 aprile al 24 maggio 2008
Caterina Arcuri - Ekphrasis. Opere 2006-2008 | MUSEO NUOVA ERA

Caterina Arcuri espone la sua più recente produzione artistica (fotografia, opere plastiche e video) “che nasconde o si svela in racconti leggeri – come scrive in catalogo Tonino Sicoli – dove il corpo è sempre protagonista di una folata di sguardi e di ricordi, come in una danza del linguaggio che sfiora il significato.

28.4.08

In memoria di


«Se dovessi rivolgermi alle “nuove generazioni”, direi quanto segue:
1 Evitate di frequentare l’università, ormai istituzionalizzata e burocratizzata. L’architettura non può che essere fuori degli atenei.
2 Sospettate di chiunque parli di “cultura del progetto”. È un alibi evasivo di comodo. L’unica cultura valida è quella dell’architettura.
3 Diffidate non solo di dogmi e idoli, ma anche di filosofeggiamenti pseudo-super-strutturali, che caratterizzano la maggior parte dei discorsi a tempo perso che si fanno nei corsi di progettazione.
4 Puntate sul linguaggio, in alto, in basso e al centro. Per chiarezza: in alto, Frank Lloyd Wright; in basso, Frank O. Gehry; al centro, Günther Behnish. Comunicazione poetica, comunicazione in gergo e comunicazione letteraria moderna.
5 Confidate nel nuovo, nella modernità rischiosa, nella modernità “che fa della crisi un valore”. Pertanto smettete di sottolineare quanto di vecchio c’è nel nuovo, e riconoscete invece quanto c’è di autenticamente nuovo. La nostra cultura è gremita di valori “in sospeso”, virtuali, non sviluppati, da afferrare e far vivere.
6 Cercate di disegnare meno possibile. Lo spazio non si può disegnare, ed è l’unica cosa importante in architettura.
7 Rifiutate ogni metodologia deduttiva, quella su cui si basa la ricerca universitaria. Einstein e Popper hanno insegnato: senza dedurre, inventare e verificare. Magari per falsificare.
8 Punti di riferimento: William Morris e la teoria dell’elenco dei contenuti e delle funzioni; Art Nuoveau e Bauhaus per l’asimmetria e la dissonanza; Espressionismo (da Häring a Scharoun) per la tridimensionalità anti-prospettica; Theo van Doesburg e De Stijl, per la scomposizione quadridimensionale (ripresa oggi dai decostruttivisti); Fuller, Morandi, Musmeci per il coinvolgimento strutturale dell’architettura; Wright per lo spazio fluente; la paesaggistica più avanzata per il continuum fra edificio, città e territorio. Sette invarianti, o principi, o caratteri non solo del linguaggio dell’architettura moderna, ma del linguaggio moderno dell’architettura.
9 Bandite ogni discorso sull’“autonomia dell’architettura”. L’architettura è splendidamente libera perché è strutturalmente coinvolta.

È tutto. Mi auguro che la mia assenza vi renda felici.
Con ogni cordialità,
Bruno Zevi»

21.4.08

"Alla fie-era dell'Est, per 31 euro" feat. "Oi dialogoi"

Giusto un update, dato che sono impelagata con la progettazione di una cittadella per 2500 abitanti (della quale, e del perché io esali quotidianamente tuoni e fulmini per essa, forse vi dirò in seguito) che non mi lascia tempo da dedicare al mio vastissimo pubblico di lettori.
Dunque dicevo, l'update del giorno: tra sabato e domenica ho speso praticamente tutto quel che mi restava all'EdilLevante, materializzandolo in sei tascabili della Mancosu Editore, casa che conoscevo solo per il celeberrimo Nuovissimo Manuale dell'Architetto - quello di Zevi - e per poca altra roba, sempre di manualistica.
E invece, con mia grande sorpresa, ho scoperto la collana GTA, che per una volta non sta per Grand Theft Auto, bensì per "Grandi Tascabili di Architettura", libriccini compatti e ben impaginati, dalle tematiche alquanto originali, o per lo meno, deo gratias, poco frequentate.
I titoli che sono riuscita ad accaparrarmi sono:
  • Milano - architettura città paesaggio;
  • Architetture di pace, ospedali di guerra - le strutture sanitarie di Emergency;
  • Taccuini futuristi;
  • Adalberto Libera e il Gruppo 7;
  • Asfalto: materia, paesaggio
    e, non ultimo:
  • Architettura nell'età elettronica,
corposo saggio le cui tematiche non fanno che ricollegarsi al graditissimo Dialoghi sulla domotica e i suoi misteri di recente intrattenuto con l'ormai sempiterno frequentatore di questi luoghi che risponde, tra gli altri, all'acronimo di PEJA :D
Pregasi leggere ;)

17.4.08

«Bisogna che il poeta si prodighi con ardore»


È difficile resistere al Mercato, amore mio
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo.
È necessario vivere
Bisogna scrivere
All’infinito tendere
Di conseguenza andiamo in cerca
di rivoluzioni e vena artistica
Mandiamoli in pensione i direttori artistici
Siccome sanno quello che fanno
Non li perdono non li perdonerò
gli addetti alla cultura
Santa è la bellezza
Tanta è la paura
Adesso è un corpo fragile
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
che sa d’essere morto e sogna l’Africa
Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe
Io son d'un'altro avviso
Dai virus della mediocrità
Dai dogmi e dalle televisioni
Dalle bugie, dai debiti,
da gerarchie, dagli obblighi
e dai pulpiti
Squagliamocela

da tutti questi insieme e da ogni altro male,
libera, libera, libera, libera nos Domine!
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
Nessuna garanzia per nessuno
Nessuna garanzia per nessuno

14.4.08

Questo di tanta speme oggi mi resta

Domani Boris Podrecca al Politecnico

E, vi giuro, quel "professorini" mi arriva dritto dritto nello sterno.

9.4.08

Tutta mia la città

Le selezioni arrivano a Bari
MArtelive - mercoledì 09 aprile 2008 © MArtelive
Giovedi 17 aprile a La Taverna Vecchia del Maltese, via Francesco Netti 34, a partire dalle 22.00 inizia l’avventura pugliese di MArteLive con la prima serata di “UnPalcoPerTutti”, il concorso rivolto alle band emergenti che conta oltre 800 iscritti in tutta Italia. Il primo appuntamento vedrà protagonista la musica rock e sperimentale di tre giovani gruppi: gli Knock Out (Bitonto), Big Fat Lady, Starzeid, 61 Cygni, El Kemeja. I prossimi appuntamenti saranno il 18 aprile al Nordwind Pub, il 7 maggio al Gargà e il 16 maggio sempre al Nordwind.

Bari - dal 3 al 27 aprile 2008
Metropolis. Urban experience | GALLERIA BLUORG

La propagazione perseverante delle metropoli apre ogni ambito dell’agire del sistema artistico e si sovrappone a intersoggettivazioni che trasformano ambigui insiemi in meccanismi che virtualmente si predispongono a diventare riproduzioni d’immagini esse stesse codificate, duplicate e duplicabili...

4.4.08

Sittin’ on the dock of the bay, wastin’ time: note a margine dell’apocalisse

Opinioni a valle della visione di An inconvenient truth
Una cosa è certa: quando la comunità scientifica internazionale si trova divisa su un argomento, non c’è da star tranquilli, perché con ogni probabilità o si tratta di un argomento sul quale non è possibile produrre risultati universalmente incontrovertibili, oppure l’argomento possiede risvolti, per così dire, interessanti da punti di vista politici, o ancora – quel che è peggio – entrambe le condizioni sussistono contemporaneamente; quando poi la questione è di interesse globale e la sua gravità potenzialmente preoccupante, il quadro raggiunge la complicazione massima: è questo, senz’altro, il caso del problema del riscaldamento globale.

Nell’impossibilità effettiva di conoscere l’esatto stato delle cose, procederò per ipotesi.
È senza dubbio evidente come la prorompente carica autopromozionale del documentario An Inconvenient Truth ne fiacchi parzialmente la credibilità. Tuttavia, se, al di là della questione meramente propagandistica, Al Gore ha dipinto con veridicità i fenomeni in atto, la situazione è di gravissima emergenza.

In una simile ipotesi, la priorità di intervento sulle emissioni atmosferiche di anidride carbonica è assoluta. Quando si tratta di estenderli a scala planetaria, indurre cambiamenti massivi di una prassi qualechessia richiede tempi lunghi in un regime ordinario: poiché, come è ovvio, attuare conversioni dei metodi di produzione industriale e delle reti di trasporto richiede un impegno ingente al punto da cozzare violentemente contro interessi economico-finanziari di grande influenza sul mercato mondiale, sarà gioco forza entrare in un regime straordinario di gestione delle risorse deputate alla trasformazione. Sempre nel caso in cui fosse possibile accertare con sicurezza assoluta l’urgenza dei provvedimenti da attuare, direi che la sopravvivenza del genere umano – o anche solo di una buona parte di esso – varrebbe bene un qualsivoglia turbamento dell’economia globale. E non solo. Mi sia permesso di aprire una parentesi.

Riflettendo sui processi di valutazione multicriteriale condotte nel corso dei processi decisionali relativi alla collocazione – anche non solo meramente fisica – degli impianti di produzione di energia ad emissione zero, potrebbe risultare chiaro che dovrebbero passare in secondo piano persino le esigenze di tutela paesaggistica di cui in regime di normalità è invece più che lecito tener conto con decisione.

La difesa del paesaggio in quanto tale, così come concepita dalla legge 1497 del ’39 (e, in sostanza, concettualmente invariata anche nella legislazione successiva) risponde ad un’esigenza estetica che è puramente umana: fino a che punto questa esigenza potrebbe essere anteposta alla conservazione di equilibri ecosistemici planetari, nel caso di emergenza in questione? La mia posizione filosofica potrà sembrare radicale al limite della blasfemia, ma poiché ritengo l’essere umano non al di fuori dei processi naturali di cui è figlio e poiché, inoltre, non credo all’esistenza di un diritto di natura precedente alla creazione di un ordinamento sociale di tipo puramente umano e convenzionale (che peraltro ovviamente condivido, rispetto e difendo strenuamente), da un punto di vista puramente logico l’uomo non ha nessun dovere naturale nei confronti delle altre specie di esseri viventi. Infatti, così come l’estinzione di specie animali e vegetali è naturalmente causata dal prevalere nell’ecosistema di altre specie animali e vegetali, così l’essere umano, animale capace di trasformare l’ambiente che lo circonda ben più degli altri, agisce secondo natura persino quando modifica irreversibilmente gli equilibri naturali preesistenti a sé. Il problema, quindi, è di ordine culturale: è assolutamente narcisistico ritenere che i cicli naturali siano stati messi in crisi dall’azione umana e che il pianeta che ci ospita abbia un qualunque bisogno di essere salvato in qualche maniera. Convinta dell’onnipotenza della natura nel suo complesso rispetto ad una sola delle sue specie, ritengo che il pianeta, più che subire attacchi da parte dell’uomo, si stia semplicemente preparando a fare a meno di lui, che dal canto suo si dirige verso la propria distruzione.

Che sarà, dunque, di tutte le specie viventi la cui estinzione è stata o verrà causata solo dall’azione dell’uomo? Che ne è, in sostanza, dell’intera etica ambientalista?

Sulle origini dell’etica si potrebbe discutere fin troppo variamente, ma ciò è da rimandare ad altre sedi. In coerenza con la mia suddetta opinione circa lo stato di natura, credo che l’etica sia il frutto di una serie di convenzioni stabilite a tavolino dagli uomini nel corso dei secoli sulla base di un accordo comune finalizzato alla sopravvivenza della propria specie. Tagliando corto sulle storture subite dalla morale durante la sua lunga storia, e in un’epoca di sostanziale polverizzazione, moltiplicazione e relativizzazione morale, credo che sia il caso di affermare – anche controintuitivamente e in apparente antitesi con il sentimento, da me condiviso, di profonda responsabilità dell’uomo nei confronti delle conseguenze ambientali delle proprie scelte – che l’etica si debba occupare esclusivamente di quanto, appunto, abbia come obiettivo la conservazione dell’umanità. Ecco dunque l’anello mancante: si definisce sostenibile qualsiasi processo che contribuisca a consegnare alle future generazioni umane una situazione complessiva che non operi al ribasso rispetto allo status quo né dal punto di vista economico-finanziario, né da quello sociale, né da quello ambientale. Considerando i tre ambiti (anche quello ambientale, si noti!) come i costitutivi del diritto umano, sarà forse più facile convincere chi ancora avesse dubbi sulla sua importanza, che l’attenzione alla conservazione della biodiversità ambientale ha senz’altro la sua base in una ferrea logica “umanista”, che è imprescindibile per la sopravvivenza ed il benessere dell’umanità e che non è, dunque, soggetto di interessi politici o di ragioni ideologiche ancora da porre in discussione.

Sia chiaro allora verso cosa ci stiamo avviando e cosa esattamente dobbiamo combattere.

Ma Al Gore potrebbe aver torto. È nota l’opposizione al suo documentario mossa dal giudice britannico Justice Burton sulla scorta dei risultati di un’altra equipe scientifica e riassunta in nove punti altrettanto celebri. In generale però si può dire che, mentre la stragrande maggioranza dei pareri scientifici conferma le responsabilità dell’anidride carbonica proveniente delle emissioni di origine antropica nell’effetto serra, non esiste praticamente alcun accordo tra gli studiosi circa gli ordini di grandezza dei fenomeni. Si possono ascoltare quindi decine di posizioni contrapposte sull’entità percentuale dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo rispetto al totale, sulla ipotetica entità dell’innalzamento dei livelli marini conseguente allo scioglimento dei ghiacci polari, sulla effettiva gravità dell’immissione di acqua dolce rispetto all’andamento delle correnti oceaniche ed in particolar modo su quali siano le “scadenze” di tali fenomeni in termini di decenni. Esiste anche una sparuta percentuale di negazionisti, che attribuiscono il riscaldamento alla sola attività solare o gridano addirittura alla mastodontica operazione commerciale.

È comprensibile quindi il disorientamento dell’opinione pubblica mondiale, che di fronte a tale caos è nei fatti impossibilitata a prendere una posizione con serenità: dietro la miriade di dati contrastanti stanno, infatti, tanto ragioni politiche quanto motivazioni puramente scientifiche. Se già la moderna meteorologia fornisce al pubblico dati inficiati da grandi margini di errori su proiezioni di poche ore per regioni circoscritte, si può ben intendere, mutatis mutandis, quanto complesse debbano risultare previsioni a svariati decenni delle mutue interazioni di fenomeni planetari influenzati da una serie pressoché infinita di variabilità. Risulta evidente che, anche in una totale buona fede scientifica, il ricorso a modelli matematici diversi può portare a descrizioni radicalmente differenti dello stesso fenomeno.

Ma ciò, si badi, non giustifica nessun inconcludente tergiversare da parte di organi decisionali a qualsiasi livello. Mai come in questo frangente, la “sospensione del giudizio” costituisce già una precisa posizione assunta. Inaction is a weapon of mass destruction, cantava qualcuno.

Dunque, anche nell’ipotesi in cui il documentario di Gore sia, come dicono certi, eccessivamente allarmistico (ipotesi, è chiaro, assolutamente auspicabile!), la mia opinione si sposta di poco, variando solo per quanto riguarda priorità ed urgenza – e dunque a livello meramente tempistico – e non nella sostanza: la conversione dei metodi di produzione è necessaria e richiede impegni massicci e date certe, a livello globale. Mi convince poco sulla lunga distanza la liberalizzazione del mercato dei permessi di emissione, perché vi intravedo possibilità elusive di qualche genere e perché non ritengo in linea di massima desiderabile che buone abitudini si scambino con cattive abitudini più denaro; tuttavia, il metodo si è dimostrato efficace e può costituire un rimedio all’emergenza, purché a breve termine.

È prevedibile che, se non è già successo – e sono certa di sì –, si creino in un prossimo futuro nuovi centri di potere nelle cui mani si concentreranno le chiavi del nuovo mercato dell’energia sostenibile. Presumo che le stesse attuali lobbies del petrolio abbiano già provveduto a procurarsi un nuovo posto al sole – è il caso di dirlo. Ci saranno senz’altro nuovi problemi etici ed ambientali con cui confrontarsi (sapremo dismettere, per dirne una, grandi quantità di pannelli fotovoltaici in tempi brevi, in maniera economica e senza produrre inquinamenti di nuovo tipo?), tanto più imprevedibili quanto più repentina ed estesa riuscirà a farsi la transizione che in ogni caso resta agognata per tutti noi che rimaniamo, per così dire, outsider traders della questione.
Nonostante il livello di estrema imprevedibilità insito nel processo, rimane ancora da considerare che le emissioni di anidride carbonica non causano soltanto l’effetto serra, e che i meccanismi che le generano non generano solo quelle. Bisogna scommettere nel traguardo delle emissioni zero: nella peggiore delle ipotesi
normalmente prevedibili ci avremo guadagnato in salute per i nostri figli e in un po’ di soddisfazione per quanti di noi ritengono che anche le altre specie ne abbiano diritto.


(Anonimo, Scioglimento dei ghiacci, collezione via Dante Alighieri, Bari)

29.3.08

Ma i rosa elefanti no...

Se è vero che ricorderemo la nostra giovinezza modellata su un umorismo simpsoniano, senz'altro l'infanzia di tanti di noi è stata popolata dalla fantasia di Disney e dei suoi successori.
Molti di voi hanno senz'altro nella loro memoria questa sequenza tratta da Dumbo. Io la ricordo come una delle più agghiaccianti di tutta la mia fanciullezza. Rivedendola oggi, e considerando che risale a non più tardi del 1941, l'effetto è di totale sconcerto. Di quali stupefacenti facevano uso gli sceneggiatori della Disney? Ma soprattutto, come potevano pensare che una sequenza del genere fosse adatta ad un pubblico di bambini anche piccoli?
Senza parole.

Ora che è tornato il bel tempo

Bari - dal 28 marzo al 6 aprile 2008
Lea Caputo - Trame di ghiaccio | NODO
Come il ghiaccio perde la sua forma acquisita avviandosi verso il fluire della sua essenza primaria, così si cerca di liberarsi dalle fobie, dalle ansie, dalle piccole nevrosi quotidiane.
nodo.megablog.it

Bari - dal 29 marzo al 18 aprile 2008
Ernesto Portas - Sguardo laterale | GALLERIA LINEA D'ARTE
L'artista ci suggerisce sommessamente l'essenza dell'osservare, a noi spettatori si palesa un vedere che percorre i tratti laterali.
www.lineartebari.com

Bari - dal 15 marzo al 20 aprile 2008
Gianfranco Groccia - Colt | MUSEO NUOVA ERA
Le opere raffiguranti i volti femminili sono accostate a monocromi rettangolari su cui sono disposte delle colt, questi dialogano per assonanza o contrasto con le immagini.

Bari - dal 15 marzo al 30 aprile 2008
L'Arca | GALLERIA BONOMO
I trentaquattro lavori sono altrettanti momenti d’incontro tra l’artista e l’animale o la bestia che dir si voglia, attimi di simpatia, di colloquio di identificazione con un compiacimento plastico per la forma vivente che solo l’animale suggerisce.

Bari - dal 29 marzo al 30 aprile 2008
Urban Landscapes | MURATCENTOVENTIDUE ARTE CONTEMPORANEA
La mostra riunisce tre video che offrono sguardi diversi sul tema del paesaggio urbano.
www.muratcentoventidue.com

Bari - dal 28 marzo al 7 maggio 2008
Dissonanze | DUEFFE
Collettiva di arte contemporanea.

28.3.08

E ci jè, probbe la storie de Minze Cule!

Ebbene sì, signore e signori. L'abbiamo trovata: dalla notte dei tempi, la fantomatica storia di Minze Cule (evidentemente "Mezzo Culo", evidentemente in dialetto barese :D) che nella tradizione della mia città equivale all'antonomasia di tutte le vicende da due soldi. Ecco a voi...

La storie de Minze Cule

Iève na volde e stève na famìgghie combòste da u-attàne,da la mamme e da le fìgghie.
Na dì ca facève fridde le fìgghie decèrne a la mamme: “Mamme, fasce fridde, u sa com'azzècchene le frittue? L'am'a fa? ".
“Iè vvère "
, decì la mamme, "ch'u ffridde ca strènge nge velèssere do frìttue. Ma com'am'a fa ca la fresòre no la tenìme?"
“Mamme, e no la puète pegghià m'bbrìiste de nguàcch'e sedetùre?"
“Sine, iè vvère"
decì la mamme a la fìgghia granne, "u sa ci-à da fà, va da Mìinze Cule e fàttela dà. Però no la si chiamànne ch'u sopanòme, chiàmele Jangelìne ".
La fìgghie acchesì facì.

Tuppe, tuppe.
"Ce iè?”
“So ji, iàbbre Jangelìne “.
“Ci uè, pecceuèdde? “.
“Me manne mamme. Ha dditte ce nge puète dà m-bbriìste la fresòre, fra na mènz'ore te la pòrteche ndrète”.
“E ci-avit'a fa?”
"Am'a fa le frittue e le canzengiìdde", decì la uaggnèdde.
”Iòsce, che ccusse ffridde, so pròbbie adattàte", respennì Miìnze Cule.
“Ii te dogghe la fresòre, dingìuue a mmàmete, però tu m'ha d'annùsce ngocch'e ffrìttue e calzengìidde. A se nò non de la dogghe. Va bbùune?"
“Sine, sine Jangelìne ", decì la pecceuèdde, "ngi-u digghe a mmamme. Statte secùre ca nu non zime sgrate ".
“Va bbène, vattìnne "
, decì Mìinze Cule e nge dètte la fresòre.

La uaggnèdde tutta presciàte se ne sci a la case. Come arrevò, la facì a vedè a la mamme ca mannò a cattà la masse da chèdde ca vènne u ppane e acchemenzò a preparà tutte le cose ca nge velèvene.
Fernùte de frisce, na frìttue iune e na frìttue u ualde, nu calzengìidde a iùne e nu calzengìidde o ualde, sci a fernèssce ca u piàtte arremanì vacande.
"E mmò", decì la mamme, “come am'a fa pe Mìinze Cule?"
“Ii”
,decì la fìgghie, “non dènghe facce de sci a ddange ndrète la fresòre sènza pertànge u piattecìidde de le frittue e de le canzengìidde ca nge so premettùte ".
“Mo sacce jl ci-am'a fa, viste ca la masse no nge ne sta cchiù", decì la mamma.

Pegghiòrne la canìgghie ca servève pe ffa u mangià pe le gaddìne e la trembòrne. Acchesì facèrne la masse.
Aradòrne u tiàne e assi ngocch'e checchiàre de carna sfritte, nu pìcche de recòtte e nu pìcche de zzùcchere. Ma chisse cose ièvene picche assà. Allòre le fìgghie se dèttère da fa ad accìte maggnàttue e ssurghe. Mbastòrne tutte cose e frescèrle frìtttie e calzengìidde.
La mamme preparò nu bbèlle piattecìidde u-accheinegghiò che nu pannolìne e ngi-u dètte a la fìgghie che la fresòre.
"Ecche", disse, ”va da Mìinze Cule e dange tutte cose. Chiàmele Jangelìne e nnò Mìinze Cule. E ddì:
"’Iangelìne, cusse iè u piatteciidde de le frìttue, chèsse iè la fresòre e bbuène appetìte, ha dditte mamme’".

La uaggnèdde acchesì facì. Come Mìinze Cule avì la fresòre e u piattecìidde de le frìttue e calzengìidde, decì:
"Gràzzie, puèrte tande salùte a mmammete " e come la uaggnedde se ne sci, ammenò la mane o piattecìidde e trò u prime beccòne a nu calzengìidde. O prime muèzzeche capetò u poste addò stève la recotte.”Oh! ci è bbèlle ", decì, e mastecàve che ttutte u guste. Come trò u ualde muèzzeche addò stève u sorghe ele maggnàttue, scketò n dèrre e ammenò na sendènze.
“Puh ", decì, ”gocce hann'avè, ci-hanne mettùte ddò iìnde? " Facì pe vedè e acchiò surghe, maggnàttue e ttand'alde anemàle sckefùse. S'alzò da la sègge tutt'agetàte, iève devendàte rosse come a nu diauuìcchie. Auuandò u rèste du calzengìidde e u sbattì n-dèrre com'a nu pulpe. Sùbbete fesc'i la gatte pe mangiassìiuue, ma come mettì u nase, se dètte n-drète percè iève fetènde.
“AhAh ssì ", decì Mìinze Cule, "vu credite d'avè pegghiàte pe ffèsse a mmè, ma mo m'agghi'a vendecà. A ttutte v'agghiaccìte, quand'è vvère ca me chiàmeche Mìinze Cule".

Na sedetùre sendì de gredà a Mìinze Cule e sscì sùbbete ad avvesà la mamme de la pecceuèdde.
Tutta trevegghiàte la poverèdde acchemenzò a pegghià il sapone e u stennì sop'a le gradìne de la scala ca dève a la case ch'u desìggne de Mìinze Cule come avev'a salì sùbbete avèv'a sceuuà.
Acchesì facèrne. Angèrne le gradìne de sapòne, pegghiorne u comò e u liìtte e le rnettèrne drèt'a la porte e se scèrne ad ascònne, iùne iìnd'a la graste, iùne iìnd'o stepòne, iùne iìnd'a la credènze e u ualde iìnd'o lìitte apprìisse a la mamme, aspettànne ca Mìinze Cule se sfuàve.
Mìinze Cule, mbbèsce, se vestì a mmorte ch'u renzèle n-gape e nu trepète reveldàte che le cannèl'appecciàte sop'a oggn'e ggamme.
Se pegghiò nu bastòne de fìirre, u cambanìidde e se ne sci.
Come arrevò m-bbàcce o pertengìine, dètte na mazzàte de mìinze cule e u-aprì.
"Mo vènghe", decì acchiamendànne a la porte de la case, " e mmò am'a fa le cunde ".
La mamme e le fìgghie ca stèvene aschennùte cchiù se trevegghiòrne e pe la pavùre ièvene devendàte peccentrnne quànd'a nu pòdece.
Acchesì Mìinze Cule senò u cambanìidde e decì: " Mo salghe u prime gradìne ".
Come facì pe mmètte u pète sceuuò p'u sapòne ca stève e se spezzò na gamme.
"Ah! Maldètte a vvù ", gredò p'u delòre e pe la ragge Mìinze Cule, " ma v'agghi'avè all'òggne ".

Dlìn, dlìn, dlìn, senò n'alda volde u cambanìidde: " Mo salghe u secònde gradìne " e facì pe salì.
Brebùffete, sceuuò e se spezzò l'alda gamme. Mìinze Cule scettàve fuèche. Le maldezziùne arrevàvene n-giìle.

Iìnd'a la case la mamme e le fìgghie se facèrne iìnd'a le calzenìitte pe la pavùre; ma Mìinze Cule non z'affermàve.

Dlìn, dlìn, senò arrète u cambanìidde: " Stogghe a salì u tèrze gradìne ". Brebùffete, se spezzò nu vrazze e scettò cèrte lucche ca se sendèrne pezzìnghe a ccase de diàuue.
Dlìn, dlìn, dlìn, " Stoggh'a salì u quarte gradìne ". E come facì p'arrambecàsse se spezzò u ualde vrazze.

Che n-dutte chèsse arrevò suse cu velène e che la ragge a la vocche. Dètte na mazzàte de mìinze cule e aprì la porte.
U lìitte e u comò scèrn'a fernèsce m-bbacce o parète de facce m-bbrònd'a la porte.
Mìinze Cule tutt'arrabbiàte velòve pàgghie pe ccìinde ca vàdde schemegghiò u lìitte e come vedi la mamme e nu fìgghie iìnd'a nnudde l'accedì.
Acehesì sci vedènne a ttutte vanne. Acchiò nu fìgghie iìnd'o comò e u-accedì, acchiò u ualde iìnd'o uarnàre e u-accedì. N-zzòmme l'accedì a ttutte, scolùse a ccudde ca stève iìnd'a la graste.

Acquànne se retrò u-attàne, cusse fìgghie nge decì tutte.
U-attàne ce facì? S'armò e sscì ch'u fìgghie a la case de Mìinze Cule. Chòsse come u vedi, decì: " Ce uè?"
"Tu"
, respennì u-attàne, "si accìse la famìgghia mè. E mmò iì agghi'accìte a ttè ".
"No, no", decì Mìinze Cule, “non zo state iì".
"Nonn'e vvère ", decì u fìgghie, "ii te so vviste. Tu si state. Papà, accìdele".

Sènza ca Mìinze Cule petèsse cercà aiùte, che la sckùme a la vòcche, u-attàne l'accedì e se ne sci a la case ch'u figghie.
Come trasì pegghiò na medecìne pe ffà resescetà le crestiàne e l'ammenò sop'a ttutte le figghie e a la megghière ca ièvene state accìse e cchidde resescetòrne e stèrne chendìinde e felìsce.

Stòria mè non è cchiù, male a llore e bbène a nnù.


26.3.08

Natale con i tuoi, Pasqua con k-way

Mi si passi il titolo: quest'anno l'in-clemente [ma]stella gialla che riscalda il nostro pianetucolo ha deciso di dare forfait per il weekend pasquale, e devo pur prendermi la mia rivincita sul freddo patito con qualche freddura di rimando, mi sembra quantomeno lecito.
Insomma, questa noiosa serie di puns verbali solo per dirvi che ho passato una cospicua parte del mio tempo vacanziero al cinema, e per introdurre un paio di recensioni di quanto visto. Aah. Sono proprio alla frutta.

Provaci ancora Sergio
Colpo d'occhio


Allora, film complessivamente mediocre, ma a fronte di vari contro, un paio di buoni pro è il caso di accordarglieli.
La trama è abbastanza convincente - per quanto non del tutto inedita, ma diciamo che nessuno si aspetta più trame sconvolgenti e quindi ci possiamo accontentare - soprattutto perché è ben chiaro che Rubini ce l'ha messa tutta per venir fuori dallo stereotipo del film italiano contemporaneo, dove se non è la moglie che lascia il marito, saranno i figli problematici o quantomeno un po' di guai sul lavoro ad occupare il posto di protagonisti assoluti del plot, con buona pace di quelli come noi, che di fatti privati di famiglie simili alla propria tendenzialmente hanno piene le corna. Checché ne dica il gioviale Virzì che va a lamentarsi dalla Dandini di qualcosa di cui suo malgrado è responsabile almeno un pochettino. E quindi un sincero plauso al tentativo del buon Sergio di cambiare aria e di occuparsi di un ambiente spesso snobbato dalle nostrane pellicole com'è quello dell'arte contemporanea.
Buona anche la scelta delle location, tra cui la Biennale, della quale si possono apprezzare interessanti scorci espositivi, la citazione di enti e situazioni reali (Art Basel o exibart, ad esempio), la stessa scelta di proporre, come fatte dal protagonista, le vere opere di uno scultore come Gianni Dessì - a me personalmente gradite - e ancora, l'attenzione a una fotografia che è altrimenti decisamente carente nella produzione cinematografica italiana degli ultimi tempi.

Ma i buoni propositi del nostro si sciolgono come tempera in acqua di fronte ad un casting scelto più per le suddette necessità estetico-scenografiche che per rispondenza alla veridicità dei ruoli. E così uno Scamarcio nel pieno della sua grossolana paesanità non regge le sfumature richieste ad un personaggio che cambia più volte comportamento durante lo svolgimento ed è quasi comico negli accessi d'ira (oltre al fatto, non tracurabile, che lo si fa piangere misteriosamente solo dall'occhio destro: sarà forse il "colpo d'occhio" cui si riferisce il titolo?); Vittoria Puccini è una sorta di insipidissima Barbie Max & Co., priva di qualunque rilievo che vada al di là dell'ammirazione che possono eventualmente suscitare i suoi riflessi ramati, che non sa che piagnucolare stucchevolmente per l'intera durata del film.
Per non parlare poi dello stesso Rubini, tragicamente fuori parte in un ruolo difficile che avrebbe richiesto un contegno a mio parere molto diverso. Il risultato, più che artistico, riesce globalmente assai artificioso e ben poco coinvolgente.
Peccato. Provaci ancora, Sergio...

Long live King Philip
Onora il padre e la madre


Sarà che non avevo letto granché su questo film prima di vederlo e sarà anche che non mi aspettavo nulla dalla sua visione, ma devo ammettere di essere rimasta davvero colpita da questa pellicola dalle tante qualità.
Non so se cominciare con l'elogiare la colonna sonora ben presente ed efficacissima, la fotografia eccellente, la scelta finissima degli ambienti interni (una vera goduria in certi casi: si consiglia di vestire gli occhi dell'interior designer prima di vedere il film), la spietatezza senza concessioni di una trama del tutto priva di sbavature o la qualità di tutte le interpretazioni. Tra le quali spicca senz'altro quella di Sua Maestà Philip Seymour Hoffman, onnipotente interprete ormai consacrato sull'altare hollywoodiano da ruoli come quello di Truman Capote, ma che è stato a lungo un outsider confinato a ruoli marginali probabilmente per la sua corporatura imponente. Hoffman è davvero capace di una potenza espressiva che mi lascia senza fiato, e in questa pellicola supera se stesso. Da Oscar.
Se mi si costringe a parlare di difetti per questo film, si potrebbe dire che nel primo tempo, in cui l'azione non arriva ancora all'apice, la struttura fatta di continui flashback/flashforward (come in molti film di Nolan, ad esempio) può risultare un po' stucchevole, soprattutto perché si spazia in un arco di tempo molto limitato - poco più di una settimana. Nella seconda parte, però, questo lieve disagio viene facilmente vinto dal precipitare degli eventi che non permette distrazioni ed enfatizza, al contrario, la ricerca raffinatissima di angolazioni diverse per gli stessi eventi, in un'indagine psicologica che è un vortice senza ritorno.
Difficile, ma imperdibile.

17.3.08

Simon's cat

Forse avrete già visto il primo episodio, che è diventato una specie di cutie-cult della rete. Ma Simon ha tirato fuori un nuovo delizioso corto ed io, che non vi resisto, ve li linko entrambi :D

13.3.08

Mumble.

Vi sono al mondo due tipi di persone: quelle le cui posizioni vengono ritenute degne di nota solo perché espresse con innata autorevolezza e quelle che ottengono lo stesso risultato perché sono davvero convinte di ciò che fanno e dicono.
È da ciò che deriva la mia irriducibile diffidenza nei riguardi del genere umano.


8.3.08

Ultime dalla città (mettendosi in pari con gli arretrati)

Bari - dal 22 febbraio al 9 marzo 2008
Franco Scaringi | GALLERIA BLUORG
I dati naturalistici si perdono in una deformazione mentale che è sicuro possesso della figura. Con un gesto che non vuole essere provocatorio ma emblematico della consapevolezza del gioco della rappresentazione, muta i tradizionali risultati della luce e del colore.

Bari - dal 29 febbraio al 9 marzo 2008
Spazio prima | FORTINO DI SANT'ANTONIO ABATE
Spazio Turismo inaugura a Bari una dimensione interamente dedicata all'arte ed alle sue molteplici raffigurazioni

Bari - dal 28 febbraio al 10 marzo 2008
Fabio Santacroce - Sick | NODO
Un fluire frenetico e tachicardico.
Le immagini di una realtà alterata da forme e simboli, riaffiorano trascinate da combinazioni di idrogeno e ossigeno.
L'acqua, in grado di placare ogni sete, diviene caos infetto; la cura, e la malattia stessa.

Bari - dal 23 febbraio al 14 marzo 2008
Giano | GALLERIA LINEA D'ARTE
Paesaggi e boschi incantati, luce e materia nei dipinti di questo artista che vive a Visso (MC) immerso nella natura che lo ispira

7.3.08

Persa in Persepoli

Aaah. Dopo un'infinita serie di noiosissimi rinvii, finalmente ho dato restauro e posso passare lo straccio qua dentro, che si sta riempiendo di ragnatele.
Per la verità, non è che sia stata proprio ligissima (?) al mio dovere di esaminanda, perché mercoledì sera non ho saputo resistere al concedermi la visione di Persepolis, o meglio, al concedermi alla sua visione. Sì, perché è una pellicola cui non ci si può che abbandonare totalmente dall'inizio dei titoli di testa alla fine di quelli di coda.
Potrei dire di tutto e di più su questo straordinario film. Ma non lo farò, come non l'ho fatto qualche tempo fa per Into the wild, perché non voglio togliere nemmeno una parola allo stupore che, sono sicura, non potrà che ingoiarvi quando andrete a vederlo. Perché ci andrete, è un ordine.
Ad ogni modo, state attenti alla domanda che vi faccio. Se vi va, venite a rispondere una volta visto il film, ma badate che avete una sola chance. Dentro o fuori.
A prescindere da quale fosse la sua intenzione, a prescindere dal messaggio che lei possa aver voluto mandare e dal fatto che ci sia riuscita o no (che ne sappiamo?), cosa sentite di aver imparato dal film di Marjane Satrapi?

20.2.08

I want to erase architecture.

Questo era il titolo (rubato a Kenzo Tange) che, alcuni giorni fa, ero decisa a dare ad un post il cui concepimento andava definendosi a partire - ovviamente - da certe vicende personali che negli ultimi tempi avevano ingenerato in me svariati dubbi ed inquietudini riguardo la nostra amata materia.
Sarebbe dovuta essere, in sostanza, una specie di invettiva home-made, di quelle di cui solo si riempie la rete, potremmo dire, quando c'è da parlare di architettura da parte di voci in vario grado addentro al settore. Una invettiva alla mia maniera, naturalmente; ma pur sempre un'invettiva, con tutto ciò che questo comporta ma, soprattutto, con tutto ciò che questo non comporta, in termini qualitativi.
E invece, il passaggio per le mie mani dell'ultimo Casabella ha fatto scatutire una subitanea inversione di tendenza nello stato d'animo di fondo alla mia titubante quotidianità.
Aprire l'omaggio a Pagano è equivalso, per me, all'essere investita da un inesplicabile groviglio di sensazioni tra le quali distinguo a fatica orgoglio, terrore, affetto e riverenza e che nell'insieme di tutte mi hanno rovistato nel profondo fino a causarmi evidenze di un certo effetto anche a livello fisico.
Pagano era un poeta. Una gioia incontenibile ha accompagnato questa mia scoperta. Architettura e parole, architettura di parole, parole di architettura: è stato possibile: è stato reale: è ancora meraviglioso. Il mio desiderio ha una correspondance in un altro intelletto. E quale! C'è ancora speranza.
Penso a Pagano e agli altri e vedo in loro quello che esigo dall'architettura oggi, probabilmente invano. Lo scioglimento del conflitto tutt'altro che eterno - secondo me recentissimo - tra (grande) Architettura e (grande) Ingegneria, tra (grande) Architettura e (grande) Urbanistica, tra arte altissima e mestiere nobilissimo, un conflitto che è lì come se l'architettura si fosse ritagliata attorno un fossato di cocci di specchi e ringhiasse rabbiosa e vana all'invisibile nemico, in realtà da se stessa accecata e da nessun altro.
Non tollero più (e dire "più" prima ancora di poter partire ha quasi un che di ironico) che il rapporto millenario tra le parti sia ridotto ad una serie di beghe da pollaio che fa dell'Architettura un'aporia continua, dove dovrebbe farne invece il luogo di un Aufhebung trionfante sebbene mai autoreferenziale.
Penso, ancora, a quel vizio di vanità (s'intenda nel significato etimologico) diffusa tra gli studi, nelle scuole; guardo gli appunti di Pagano e constato che, se pure letti così come sono, nell'assoluta mancanza di una sintassi qualechessia, supererebbero in contenuti e persino in forma l'insieme di tutte le conferenze e di tutti i discorsi che ci è dato di ascoltare allo stato dei fatti, anche dalle più illustri bocche. Non si ha più nulla da dire e lo si dice ugualmente; mi meraviglio che si scrivano ancora saggi, e quanti, e con quanta penuria di significato.
Chi fa il danno peggiore? Chi, a tutti i livelli, castra nel nome soffocato di un contegno insignificante il desiderio di tragedia che serpeggia ovunque si concentrino intelletto e stomaco, pensiero e membra, carni, unghie. Se questo sentimento sia popolare o meno, non sono in grado di dirlo. Che nasca da meccaniche divine è certo.

Insomma, pare che di invettiva si sia trattato ugualmente, alla fine dei conti. Pazienza.
Ah, quanto al numero 763 di Casabella, beh, è chiaro che non l'ho nemmeno letto. Lo farò, ovviamente. Ma mi farà cambiare avviso?
Sia benedetto il sangue,
Maat

18.2.08

Frankie goes to Weimar

«Parlare di musica è come ballare di architettura», diceva Frank Zappa, mandando (giustamente?) in vacca decenni di critica contemporanea e secoli di storia della musica.
Quello che Frankie, però, probabilmente non sapeva è che in qualche modo un cinquantennio prima Oskar Schlemmer, effettivamente, era riuscito a far ballare di architettura, o quantomeno a far ballare l'architettura, o a farla muovere in maniera più o meno inquietante su un palco teatrale.
A novant'anni da ciò, dei simpatici pargoletti di un giovane studio di architettura scrivono canzoni pseudo-ironiche a tema architettonico-urbanistico. Potete visitare il loro blog, ed ascoltare le loro composizioni grazie al cacchietto di radioblog in alto a destra.
Qualche mutazione genetica deve aver colpito il genere umano, nel frattempo...

17.2.08

Lasciare l'impronta non è sempre bene...

Calcolate la vostra impronta ecologica (in genere si valuta in kmq, quelli necessari a produrre il cibo che consumiamo ed a smaltire i rifiuti che produciamo in un anno; in questo caso, l'impronta viene stimata in emissioni di anidride carbonica per anno) grazie a questo sito. Scoprite quanto pesate sull'equilibrio planetario e come migliorarvi un po'. Se non conoscete alcuni indicatori, potete usare delle medie, ma tenete conto che sono basate su standard, se non ho capito male, canadesi. In ogni caso, tenete conto che le unità di misura sono quelle anglosassoni e non quelle del sistema metrico decimale.
Il mio risultato è: 7,2 tonnellate di CO2/anno, che potrei, con qualche sforzo, ridurre a 4,9. Sigh.



15.2.08

Sudafrica liquido

Marlene Dumas è un genio. È una Francis Bacon diluita nell'acquerello, e resa trasparente.
Quando Skira si deciderà a pubblicare il catalogo della mostra a titolo Artempo che c'è stata a Palazzo Fortuny (Venezia) quest'estate, sarà sempre tardi. Sono mesi, porca miseria...

13.2.08

Che poi significa "alto masticamento"...

In gentile omaggio ad un acquisto fatto su ebay, mi sono arrivate queste caramelle statunitensi.
Prima che io riuscissi a convincermi che, nonostante la consistenza inquietante, l'assenza di gomma arabica ed altri simili addensanti facesse effettivamente di questi parallelepipedini lilla delle caramelle e non delle gomme da masticare, me ne son dovute mangiare un paio e testare personalmente che non sussistevano effetti nefasti sul mio apparato gastrointestinale.
C'è anche chi mi ha suggerito, temendo l'attentato, di sbarazzarmene all'istante, o chi, ben gentile, ha preferito lasciare a me l'onore di provare la prima (che non si sa mai).
Tuttavia, questa indagine approfondita mi ha permesso di dedurre con certezza che fanno decisamente schifo. Avete presente le penne colorate e profumate che usavamo da piccoli? Queste diaboliche caramelle hanno il sapore di quell'odore. Un sapore lilla.
Chimica pura. E fanno pure pena. Ma ciò non toglie, ovviamente, che me le mangerò tutte.
Che volete, non posso resistere alle toffee.

HI-CHEW. Yeah.

12.2.08

Into the night

È l'una, domani ho la levataccia, sono sotto esame, non ho ancora risposto a nessuno dei vostri commenti e l'ora tarda che farò genererà in me sensi di colpa tali che di certo non mi deciderò a farlo prima di domani sera; ma ho visto Into the wild, ed ho bisogno di scrivere.
Probabilmente non dirò molto. Comprendere questo film o, no, comprendere piuttosto l'urlo di Chris/Alex, significa non aver bisogno di parole per trasmetterlo. Significa fissare la telecamera per qualche fuggente secondo e col solo sguardo dire: "questa è una telecamera, perché questo è un film. Ma c'è stato qualcuno, almeno uno, per cui tutto questo non è stato un film. Qualcuno che tu capisci".

To put meaning in one's life may end in madness,
But life without meaning is the torture
Of restlessness and vague desire --
It is a boat longing for the sea and yet afraid.

[da Edgar Lee Masters, George Gray, in Antologia di Spoon River]

11.2.08

Ri-belle notizie!

Sabato 16 febbraio, dalle 19.00, si inaugura RIBELLE, spazio di espozione e vendita di oggetti d'arte e artigianato realizzati in materiali riciclati e di riuso, e di promozione della cultura del "non consumo"!
RIBELLE si trova a Bari vecchia, alle spalle della cattedrale, vicino alla Biblioteca Provinciale De Gemmis presso l'ex convento Santa Teresa dei Maschi.
Ecco l'invito.

10.2.08

Lo chef consiglia...

... di partecipare al
contest poetico-letterario:
CADAVERE SQUISITO IN RETE, tutti i particolari in cronaca (sarebbe: nel link!).


Inoltre, altre novità, ahimè (?), meno virtuali:

Bari - dal 9 al 22 febbraio 2008
Katherine Wright - Mura e mari | GALLERIA LINEA D'ARTE

Importante acquerellista ed illustratrice architettonica ha trovato nel suoi viaggi una nuova dimensione di colore, spontaneità e spirito in opere che recuperano il rapporto originale con la natura nei luoghi e si contrappongono ai ritmi frenetici cittadini

6.2.08

Critiche di... facciata


Allora, non è questione di Grillo sì o Grillo no. Ascoltare del qualunquismo con basi culturali nulle mi fa girar le scatole in generale, e di più quando si parla di Architettura.
L'Architettura è la più snobbata delle arti, la meno nota al grande profanus vulgus? Un tempo, forse. Ma di quel tempo è rimasto metà del corredo genetico, quello che ancora fa dire al signor Bianchi che il moderno è uno schifo (così, tout-court), che cemento è demonio, che, Le Corbusier? Wright? sì, ma... spallucce; ed ecco che è facile sparare a zero, e che ci vuole. «I bravi architetti ci sono, ma bisogna farli parlare!». Ah bravo, grazie. E ce li suggerisci tu quali sono, Beppe? Tu che disprezzi con così gran cognizione di causa il Guggenheim di Barcellona di... dunque... Paul Gehry? Con poi battute che erano inflazionate già quando almeno cinque anni fa ci ironizzavano su i Simpson. E dire che io Gehry lo odio.
E non è da meno Majowiecki, professore allo IUAV che si riduce alla più gretta sparatoria formale generalizzata dicendo che «si dimenticano le funzioni, si fa solo scenografia». E certo, perchè si vive bene sono nei parallelepipedi, anzi, meglio se cubi; di mattoni, è chiaro, con una porta e una finestra. Posso solo immaginare che grande impianto teorico possa star dietro a questa sequela di gratuita immondizia sparata sui poveri, ignari spettatori.
Non sono le istanze formali che vanno contestate all'Architettura contemporanea, brutti imbecilli. È lo starsystem architettonico in sè, la cui esistenza è nota ormai a chiunque, a certa prova, appunto, dell'espandersi della cultura architettonica al di fuori della ristretta cerchia degli adepti del settore; ma è un espandersi superficiale e spocchioso, quell'altra metà cromosomica che fa il paio con la prima, un'Architettura portata a status-symbol borghese, borghesissimo, con nessun pathos e tutta etichetta, solo - metafora calzante - di mera facciata.
Certo, è colpa del settore stesso, che probabilmente è così che vuol vendersi; si veda il look iperpatinato delle riviste (segnalo, su questo argomento, il video "Clip, stamp, fold" che potete vedere in questa sezione - cercatelo nella mischia di link, in ordine alfabetico, oppure usate il motore di ricerca interno - del bellissimo sito ultrafragola.com, che consiglio a tutti di tenere sotto il cuscino) e la medesima tensione alla vanità e alla reciproca masturbazione dei componenti del gotha dell'ars aedificatoria.
È quando si sfora sui budget, questo sì, che fa degli architetti delle primedonne auto-autorizzantisi a qualsiasi cosa pur di permeare di sè il mondo.
Potrebbe persino essere un problema formale, a volte, perchè certo, non tutte le soluzioni sono giustificate da ogni contesto (e su questo, e sul gran vizio dell'Architettura contemporanea di essere - tendenzialmente - aspecifica rispetto ai luoghi in cui si inserisce e malata di "internazionalismo", si potrebbe dir molto, addirittura troppo) o da valori intrinseci che non siano mirati alla sola stravaganza; ma non è certo Grillo a potermene parlare, dall'alto del suo sapere architettonico e, di più, della sua indubitabile esperienza in fatto di infrastrutture ed urbanistica: mi risparmierò commenti su quanto detto al minuto 7:34 del video. A chi, infatti, non sembra palese come a Beppe che connettere una stazione con uno snodo automobilistico (a prescindere dal fatto che sia a Venezia o meno, perché la critica trascende il contesto - giusto per non ricadere nell'errore dei criticati, si noti) sia cosa folle ed inutilissima? Ma certo Beppe, come no. Perché, a te, i bagagli di tua madre quando arriva col treno li porta a casa qualcun altro, probabilmente.
Per non dire delle vignette sui ponti, patetico siparietto la cui onestà intellettuale mi fa rimpiangere quella delle ultime campagne elettorali.
Grillo, per pietà e per il tuo stesso orgoglio personale, non metter più bocca dove non sai che dire; o se vuoi farlo, e mandare qualcuno a fanculo con cognizione degna, vacci prima un po' tu. A studiare, intendo.

3.2.08

Il piatto del giorno

Bari - dal 2 al 9 febbraio 2008
Settimana Croata a Bari: arte e non solo arte | FORTINO SANT'ANTONIO

Il 2 Febbraio ore 21,00 presso il Fortino S. Antonio di Bari si apre la manifestazione settimana Croata a Bari.
Differenti modi di fare arte, di guardare una terra verrano fuori da questa manifestazione.

Bari - dal primo al 17 febbraio 2008
Luigi Filograno - Sospensioni celesti | GALLERIA BLORG

Si evidenzia maggiormente in questa esposizione il contrasto tra le sue precedenti opere: eleganti e leggere rappresentazioni di funamboli, atleti e danzatori, in equilibrio in un vuoto monocromo, ora vengono poste in contrapposizione a minacciose macchine da guerra.

Bari - dal 7 febbraio al 10 marzo 2008
Bari tra Venezia e Bisanzio. Lo Spazialismo di Licata e Morandis | CASTELLO SVEVO

La mostra presenta le opere pittoriche di Riccardo Licata (nato a Torino nel 1929; vive e lavora tra Parigi e Venezia) e Gino Morandis (nato a Venezia nel 1915 e morto nella stessa città nel 1994).

Recitato (un atto di accusa e un'invocazione)

«Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?»

[da Sogno numero due, in Storia di un impiegato, Fabrizio de André, 1973]
[Ogni riferimento a fatti o persone della cronaca contemporanea è puramente indignato ed intenzionale.]

29.1.08

Cercasi Misaki disperatamente

Ovvero: "Ecco, sono nei guai", parte II

Oggi sono andata in un bar nella piazza del castello di Trani ed ho bevuto una cosa deliziosa che rispondeva ad un nome proprio che ora mi sfugge, ma in sostanza era un té al peperoncino.
Allora, era una bustina e il complesso non aveva poi queste grandi qualità, ma cazzarola... era un té al peperoncino!
Lo voglio, lo voglio, lo voglio. Era rosso - e infatti sono certa che più che un té avesse come base un karkadé, ma va bene uguale -, asprigno e... appena un po' piccante. Adorabile!
Sono quasi sicura che la marca della miscela si chiamasse Misaki, sapete, una di quelle che producono quarantasette tipi di miscele aromatizzate ai gusti più assurdi (per lo più porcherie, ovviamente) oltre che infusi e tisane d'ogni genere e sorta: una di quelle tipo l'Eraclea, per capirci.
Solo che non trovo alcun riferimento in rete, dannazione, a parte ottantottomilacinquecento giapponesi dai diversi gradi di stronzaggine che si chiamano così.
Insomma, se qualcuno di voi debosciati sa dirmi dovecomeeperché si possa comprare questa meraviglia, mi faccia un fischio.

Ah, se vi state chiedendo il perché dell'immagine, beh, anche quella è Misaki, provare per credere. Se non altro con questa foto avrò attirato l'attenzione di voialtri ben più che con qualche ennesima laconica fogliolina di té. Stramaledetti pedofili.

25.1.08

Benché 'l parlar sia indarno

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme
Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna!
Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica?
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
0 qual tanta possanza,
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
E di carri e di voci e di timballi
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L'itata gioventude? 0 numi, o numi
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L'antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre
E voi sempre onorate e gloriose,
0 tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch'alme franche e generose!
lo credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere
De' corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l'Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglicasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch'offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
Nell'armi e ne' perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
Come si lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'ond'a morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza de' Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira de' greci petti e la virtute.
Ve' cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra' primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
ve' come infusi e tintí
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d'infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell'imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
0 benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall'uno all'altro polo.
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest'alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.

[Leopardi - All'Italia]