30.1.06

Percorsi estetici, parte II - Pa Dong, mistero svelato

Seconda tappa del viaggio. Pronti?

I Pa Dong sono una piccola enclave che vive in quello che certi studiosi defini-scono il Triangolo d’Oro, a cavallo tra Birmania, Laos e Tailandia.
Questa piccola tribù è nota in tutto il mondo per l’usanza - che è quella che a noi maggiormente interessa al momento - di modificazione del corpo riservata, ancora una volta, alle donne.
Esse si presentarono, fin dai tempi antichi, agli occhi del visitatore occidentale come delle creature mostruose e quasi ultraterrene, con colli smisuratamente lunghi racchiusi in alti collari dorati. Come spesso accade, il pregiudizio e una serie di verità smozzicate e interpretate in molte, pittoresche maniere hanno generato inverosimili leggende al riguardo.
Per prima cosa, nell’immaginario comune le donne dai lunghi colli e dai collari dorati appartengono a qualche non meglio precisata e primitivissima tribù africana, cosa che evidentemente non è.
La seconda leggenda è che il collare sia una sorta di sadica condanna imposta alla donna sposata. Poiché questo collare allungherebbe il collo inibendone lo sviluppo muscolare, se rimosso comporterebbe la caduta per gravità della testa, non più sostenuta adeguatamente, con conseguente schiacciamento della trachea e quindi morte per asfissia. Questa sarebbe l’ignobile fine destinata alle adultere.
Nulla di ciò corrisponde minimamente al vero. Sveliamo i segreti uno ad uno.
La pratica della rimozione in caso di adulterio è una costruzione di pura fantasia. Il collare non ha alcuna ragion d’essere se non quella decorativa, e quindi estetica. D’altra parte, le donne Pa Dong portano simili orna-menti anche agli arti, il che, per l’ipotesi circa il “deterrente” per l’infedeltà coniugale, non troverebbe alcun senso.
Il collare dorato non è costituito da anelli, bensì da una lunga spirale di ottone, non saldata in alcun punto. Non si tratta, quindi, di aggiunte successive di anelli su anelli (impensabili, peraltro, poiché il collo di una donna durante le sue fasi di sviluppo non cresce solo in lunghezza ma ovviamente anche in diametro), bensì della sostituzione completa della suddetta spirale quando essa non sia più adatta per taglia o abbia perso le sue capacità elastiche risultando incapace di generare una trazione sufficiente allo scopo.
Meno che mai è vero, poi, che il collare inibisce lo sviluppo del collo tanto da renderlo del tutto inerte alla compressione; non dobbiamo dimenticare che la scatola cranica è sostenuta principalmente dalle vertebre cervicali, prima ancora che dall’apparecchiatura muscolare che, forse più propriamente, è un apparato la cui funzione precipua è quella di consentire il movimento, non il sostegno “strutturale” [son proprio un ingegnere edile-architetturo, N.d.M.]. Quindi, anche nell’assurdo caso in cui un collo adulto si ritrovasse privo di muscolatura, di certo non potrebbe ripiegarsi mollemente su se stesso fino addirittura a determinare lo schiacciamento della trachea.


Ciò detto, occorre sfatare anche un’ulteriore congettura. Nel guardare una fotografia di una appartenente alla tribù, sembrerebbe logico che l’uso dell’ornamento, iniziato in tenera età, causi un allungamento innaturale dell’incollatura; tuttavia, studi medici assicurano che un tal genere di deformazione, coinvolgendo le prime vertebre, porterebbe in breve tempo alla paralisi totale. Poiché ciò non avviene, evidentemente la deformazione non si verifica a livello cervicale. Dove, allora?
Ecco, dunque, il mistero svelato: il collare genera, sì, trazione, allontanando la testa dal tronco, ma agisce in particolar modo sulla mandibola e sulla clavicola. Il seguente disegno risulta particolarmente esplicativo a riguardo. Il collare spinge verso il basso le clavicole e le prime costole: fisiologicamente, queste ultime risulterebbero quasi orizzontali, mentre nelle donne Pa Dong arrivano ad inclinarsi di quasi 45°. Inoltre, i muscoli del collo non si atrofizzano, ma semplicemente vengono compressi. Il tutto contribuisce all’impres-sione che i colli delle donne siano incredibilmente allun-gati e sottili. Nel disegno, in sezione a confronto un collo "al naturale" (a sinistra) e un collo Pa Dong (a destra).
Sembra, infine (ma mi permetto di conservare qual-che perplessità a riguardo), che la pratica non costituisca nemmeno un evento traumatico o rischioso per il benessere dell’organismo perché, una volta rimossa la spirale, ossatura e muscoli tenderebbero spontaneamente a riassumere la configurazione iniziale senza generare danno.

Si ringraziano le fonti iconografiche e documentarie dei siti:

http://perso.wanadoo.fr/voyages-aventures
http://djparadisetour.com/

ed il lavoro di Johan Van Roekeghem su cui le scoperte si basano.


24.1.06

Spazzatura di lusso

E non si pensi che io sia un'accanita castigatrice dei castigatori. Lungi da me muovere criti-che inutili e scontate tout court al perbeni-smo e ai suoi inganni. È solo che può diventare seccante che persone che ti conoscono da prima della tua nascita (è possibile anche questo) abbiano, non dico a pensar male, ma ci siamo quasi, per il semplice fatto che tu ami portare gli anfibi sotto le gonne. Dico sul serio. E se una sera lo smalto è nero, diventa marchio indelebile: pacchiana.
Allora, cominciamo dal fatto che non ho alcuna intenzione di apparire anticonformista o chessò io per il semplice fatto che mi piacciono gli smalti scuri, questo e quell'altro. Mi auguro mi si ritenga sufficientemente intelligente da scavalcare questo genere di idiozie.
È che vorrei davvero che degli affermati cinquantenni fossero in grado di operare la stessa astrazione mentale per arrivare ad intendere che non è un periodo, passerà, ho ventun'anni e non quattordici. Che l'estetica non ha canoni universali e se pure ce li avesse, non sarebbero tanto ristretti. Che, in fondo, se non metto le scarpe con il tacco a Capodanno magari non significa che adori Satana. Che non occorre aver paura di rivolgersi a me senza calibrare i termini fino all'ultima virgola: non assumo psicofarmaci per il controllo dell'umore, non faccio uso di stupefacenti. Non fumo nemmeno (i loro figli sì e questo, però, non li classifica mica). Che il distorsore non è un attrezzo del demonio. Che un buco (ops... due ^^) sulla cartilagine dell'orecchio può anche non essere motivo di disgusto o simbolo di chissà cosa. Che potrei anche aver ragione.
Ed è l'unico motivo che ancora mi trattiene dal fare certe cose tipo un piercing al labbro inferiore [aka "labret", N.d.M.]. So che ciò comporterebbe disappunto anche tra i miei stessi genitori (cui attribuisco, per certe cose, un'apertura mentale almeno un minimo maggiore). Pertanto mi privo di questa possibilità con le mie stesse mani. D'altronde, libertà vuol dire anche possibilità di rinunciare ai propri diritti per il semplice voler bene a qualcuno.
Non che mi diserederebbero, ovviamente, ma sapete, ci rimarrebbero un po' così. E per quanto in quel caso potrei [loading... controllo grammaticale in corso... please wait... mi sa che è giusto] cercare di spiegar loro che si tratta di pura estetica e nulla più e non di un manifesto di... boh... qualcosa, so bene che non potrei aprire grandi brecce nel loro immaginario. Vabè, pazienza.
E con ciò, vi supplico, non pensate che io adesso mi senta gloriosamente ribelle, riot girl, fuck the system e blablabla. In ginocchio ve lo chiedo. Non pensate nulla. Non pensate affatto. C'è una buona telenovela su Rete4 che potrebbe aiutare.
Io me ne torno a studiare, mica noccioline.

Comunque sì, il prossimo post sarà intelligente, promesso.

16.1.06

Dagherrotipi al tramonto

Quando uno frequenta i quartieri alti e i salotti buoni non è raro, sapete. Ma oggi ho avuto un rendez-vous quantomeno insolito. Diciamo, è come quando incontri una vecchia conoscenza nell'ultimo posto dove avresti mai pensato di incontrarla e, senza che tu possa in alcun modo controllare il tono di voce (che risulta quindi imbarazzantemente gracchiante), ti scappa da dentro istintivo un: "e tu cosa ci fai qui??". Così, insomma. Oggi dunque ho incontrato una vecchia amica su un territorio nuovo. Che sorpresa!
Bene bene. Ne esistono anche altre allora, di persone dalla doppia vita! E che fa se una delle due è fatta di nero su bianco, sempre vita è...
***
Sara, poi. Era, è, il nome del mio pelouche preferito. Chi mi conosce può ben immaginare che animale sia ;) Morbida, fiera e immensa, la mia Sara polverosa!
Insomma, ognuno ha il suo negramaro del caso per aggrapparsi agli ultimi rantoli di irresponsabilità cui bisogna sforzarsi, ma che dico, imporsi di non rinunciare mai. Il mio (e non solo il mio!) alle volte si chiama Sara, alle volte sta in una penna e un foglio bianco, altre in una tastiera, altre in qualcosa di un po' troppo alcolico... ehm... non venga messa a verbale l'ultima osservazione.
Essì, perchè la soglia degli anni col 3 davanti non è poi così diversa da quella dei maledetti teens. Il grosso per diventare grandi è fatto ormai, da qui in poi è tutto un raccattare di pezzi di adolescenza (macchè adolescenza. Infanzia, quella sì era la pacchia. Chi diavolo la vuole un'altra adolescenza?!) e montarli per bene uno sull'altro per far quadrare un'identità che sia in grado di essere femminea senza perdere in dignità (dite dite, mica è così facile!). It is a man world...
E c'è qualcuno che di tutto questo sta facendo un'arte e una firma, un rigurgito generazionale che se la ride di Muccino & company e della loro gioventù inesistente. Deo gratias...

10.1.06

Improbabilità, rimpianti, serate di gennaio

Bello avere amici che suonano. Un po' perché se l'8 gennaio non hai una cippa da fare puoi sempre andare al Nord-wind e passare una bella serata, e un po' perché così puoi continuare a darti un po' addosso perché tu invece non ci sei riuscita, a fare come loro (pur desiderandolo... e tanto...).
Ma no, ma no. Anzi, ogni volta che vado ad un concerto, dopo, anche alle 03:00 non c'è signora-di-sotto-con-bambini-piccoli-che-domani-c'è-scuola che mi riesca a staccare da loro, le mie donne a sei corde...
Vabé, nostalgie di un brillante futuro alle spalle.
Ad ogni modo, complimenti a loro, i Mens Agitat Molem (dottissimamente virgiliana, la citazione), alle loro chitarre memori del miglior post-rock anni '80 e '90, alle loro tastiere evocative e pompose ed ai loro vocalizzi ad ampio spettro. Bene, bene. Vi auguro tutto il bene possibile, figliuoli... ;)

6.1.06

Blog fan. Cool.

E sai cosa ti dico? Con un cattivo gusto che non di rado mi appartiene (amo con tutta me stessa infarcire di parolacce i miei intercalari) ti dico fanculo, maledetta moda dei blog.
Uno non poteva avere un passatempo sanamente catartico come un diario perchè in qualcosa che non ti viene spalmato direttamente in faccia non c'è assolutamente niente di interessante. A che pro tenere certe cose per sé, quando si possono sputtanare? E certo, perchè non ci ho pensato subito!
Così, vi vengo a scrivere delle mie paranoie acciocchè leggendo in diretta i miei disagi esistenziali infiocchettatti in un italiano forbito e alle volte volontariamente ardito nella sua puerile, pretenziosa e solo tentata sperimentalità desunta da traduzioni di slang anglosassoni a loro volta spinti alla novità a tutti i costi, qualcuno possa dire "che figa, però".
Bello, bello veramente. No, sul serio, complimenti.
E anzi, cazzo, due post in un giorno solo, diranno che sei produttiva! Continua così, che mi rendi fiera.

Variazioni sul tema

Variazioni sul tema. Anche più di tredici, se è possibile.
Che Abraxas m'assista!
Dovrò pur decidermi una buona volta a riordinare le priorità... Sarà davvero meglio tanto volere? Volere, fortissimamente? Chi troppo vuole si sa che fine fa, e quella sarà sicuramente la mia.
Ma non posso rinunciare! Diavolo, come si può rinunciare a qualcosa? Già prima o poi le botte arriveranno e sarà il caso di correre ai ripari. Adesso, almeno, che posso parlare, pensare, vedere e scrivere e che nessuno ha bisogno (quello vero) di me, lasciate che cerchi di vivere secondo i miei canoni (che poi chiamarli così già li snatura completamente). Dite pure che è l'apoteosi della precarietà, dite pure che non mi fa bene, dite anche che non è da responsabili, se volete. Tanto, non è che non lo sappia...
La realtà è che quello che voglio è probabilmente vivere i miei drammi autocostruiti da brava rappresentante del gentil (mmm... dovreste vedermi alla guida) sesso, convincendomi che chi di dovere sia ben lieto di attribuirmi l'immagine della dandy o chessò io. Ma nemmeno dandy, no, diciamo della tuttologa di queste giberne. Ecco, sì, un misto in pari percentuali tra Lisa Simpson e il Gianni Ciardo della mezzanotte.
Per esempio: non trovi tempo per studiare? E allora perchè diavolo te ne stai qui ad aggiornare quest'inutile blog?
Una buona domanda. Davvero una buona domanda...

4.1.06

Percorsi estetici, parte I - Mursi, un'estetica dell'assurdo

Ecco, come promesso, la prima puntata del no-stro viaggio intorno al mondo alla ricerca della bellezza nelle sue forme variamente architettate ad opera di voi maledetti umani [sciocca, ti sei tradita!]… ehm, volevo dire di noi maledetti umani, noi

E cominciamo dunque con l’usanza peculiare di una etnia etiope nota col nome di Mursi.
I Mursi sono uno dei più bellicosi popoli della valle dell’Omo, perennemente in conflitto con i vicini Hamer e Bodi. Si tratta di una piccola sacca di circa 3000 individui che vivono in villaggi di capanne e che barattano e scambiano il denaro facile dei pochi turisti di passaggio con moderne armi da fuoco che utilizzano nelle violente faide con le altre tribù, nonché come pura ostentazione di potere. Come in molte altre popolazioni africane, non esiste tradizione scritta ma i problemi del villaggio vengono discussi in riunioni collettive in cui è apprezzato lo sfoggio di abilità oratorie e drammatiche.
Veniamo dunque al costume riguardante la decorazione del corpo.
Gli uomini fanno bella mostra di grandi estensioni di scarificazioni a forma di ferri di cavallo, ognuna delle quali simboleggia l'uccisione di un nemico (pratica considerata lecita e, anzi, riverita ed onorata). Ma sono le donne, come spesso accade, che incarnano l’ideale estetico dei Mursi e ne subiscono le conseguenze. Lungi da me, s’intende, ergermi a giudice etico per contesti che non mi appartengono; peraltro, poi, ritengo che approfondire con occhio completa-mente amorale le questioni di mera estetica possa portare a risultati intellettualmente ben più stuzzican-ti.
Tornando a noi: la donna Mursi.
È usanza che, sin da giovane, ella pratichi nel labbro inferiore un ta-glio da parte a parte e vi inserisca, sostituendolo man mano, un cilindro di bambù di diametro via via mag-giore. Quando tale cilindro raggiun-ge una dimensione giudicata sufficiente, viene sostituito da un piattello in terracotta di forma circolare (se ne trovano anche di semicircolari nella tribù etiope dei Surma), anch’esso sostituito periodicamente con uno più grande, fino al raggiun-gimento di diametri dell’ordine della ventina di centimetri.
Per evitare che il peso del piattello lo porti a cadere verso il basso alterando eccessivamente i lineamenti della donna, si opera in genere l’estrazione degli incisivi inferiori (con metodi a dir poco “artigianali”) in modo che il piattello possa poggiare direttamente sul palato reggendosi in posizione orizzontale (cosa, peraltro, che non sempre riesce alla perfezione).
Ovviamente un accessorio di siffatta mole non può che causare notevoli problemi alla comunicazione verbale e persino all’atto dell’alimentazione; per questo motivo il piattello viene generalmente rimosso durante i pasti rendendo evidente l’ipressio-nante deformazione del labbro, che pende in tutta la sua innaturale lunghezza.
Lo stesso trattamento viene in genere riservato anche ai lobi delle orecchie, evidentemente con mi-nore disagio per le donne e con un effetto meno terrificante all’occhio dell’occidentale. Si può anche notare, infatti, come questa usanza sia piuttosto diffusa anche in Occidente, in particolare tra i punk (o meglio, tra ciò che resta di questa vecchia e variamente interpretata corrente culturale) e in ogni caso ricordi l’uso comune che da noi si fa degli orecchini e dunque generi meno stupore; ovviamente i diametri dei piattelli dei lobi non possono equivagliare quelli degli stessi ornamenti labiali; spesso peraltro sopravviene la rottura del lobo, incapace di resistere alla tensione impostagli.
Quando i coloni giunsero per la prima volta in contatto con i Mursi, restarono talmente inorriditi dall’usanza del piattello che questo popolo si salvò del tutto dalla resa in schiavitù e dalla deportazione, tant’è che in Occidente si diffuse la teoria secondo cui il piattello sarebbe stato solo un deterrente per la deportazione e non già un effettivo retaggio culturale della tribù. Quest’ipotesi sembra oggi poco attendibile perché, come si è detto, è una pratica che richiede tempi lunghi e quindi non sarebbe stato possibile improvvisarla all’arrivo del bianchi, né si spiegherebbe perché gli uomini ne siano esenti.
In un caso o nell’altro, fatto sta che oggi la dimensione del piattello è direttamente proporzionale all’attrattività femminile per i Mursi ed anzi, persino il prezzo che l’uomo pagherà alla famiglia della futura sposa (in quasi tutta l’Africa il meccanismo della dote è infatti inverso rispetto al nostro antico - ma nemmeno tanto - costume) ne viene significativamente influenzato.
Ma non è tutto. Le donne Mursi amano agghindarsi anche con complicate acconciature costituite da cilindretti cavi in metallo che ingabbiano i capelli, oppure appendere al capo gruppi di pesanti anelli metallici e corna bovine.
Uomini e donne, infine, fanno largo uso di vernici bianche per esaltare la bellezza dei lineamenti propri di questa etnia, mentre sembra che l’usanza del piattello sia entrata in un lento declino.

Si ringraziano le fonti:

Ultima Africa, Gianni Giansanti, 2004 Edizioni White Star, Vercelli;
http://www.voyagesaventures.com/.

1.1.06

Il mio anno nuovo


È senza dubbio un anno che segue un'annata storica. 1984, 1991, 1997, 2000, 2004, 2005, le mie annate storiche.
Se il trend resta quello che è, sarà un'annata ricca anche questa. Si tratta di vedere se sarà rivoluzionaria. Di certo non lesinerà emozioni. Di che tipo, sarà il punto.
E va bene. Io, dal canto mio, cercherò di rivoluzionare quanto nel mondo è di mia competenza, ovvero la mia persona e poco più di quella.
Staremo a vedere, come facciamo sempre. Solo che il primo gennaio capita a volte di aver più occhi.
Buon anno nuovo, mondo. Non ti auguro nulla. Giusto una sorpresa piacevole, magari.
Rivoluzionariamente tua discepola,
Maat-Elisewin-Votra