25.9.07

ALLELUJA

Ok, ok, non dire gatto se non l'hai nel sacco, non ti fasciare la testa prima di essertela rotta (ma fallo pure se pensi che qualcuno potrebbe volertela spaccare, direi), «io non canterei... la moglie di Pasquale» (chi sa taccia), e via blaterando: ma è che, semplicemente, venerdì prossimo, grazie al sempre ottimo thelegs, potrebbe essere una delle serate migliori sulla piazza da un bel po', in questa maledetta città ("maledetta città", che pregasi leggere con voce rauca da similgangster, o quantomeno con sufficiente aria yankee. Yeah.) .

"Perché?"

starete senz'altro tutti dicendo.

Ebbene, perché a Bari sbarca un BARCAMP... e per di più sulla creatività giovanile pugliese!!
Trovate QUI tutte le informazioni possibili. E dai, baldi giovani di belle speranze... ci vediamo tutti venerdì sera a Santa Scolastica? Ci conto.

20.9.07

Zeitgeist

Nessuno di voi ha la sensazione di essere vicino al bordo di un baratro? Insomma, non dico come persone, dico come epoca storica. Io sì.
Mi sento come sotto una cappa d'aria stagnante. L'architettura è viva più che mai, certo, ma come dissi, essa è sempre in ritardo di un secolo su ogni cosa. Per il resto, tutto è fermo in attesa di.
Vedete, è come se, hegelianamente parlando, fosse arrivato il momento, come se tutti noi avessimo bisogno di un rinnovamento. Ci vuole, chessò, una terza guerra mondiale.

Ma per fortuna ci sono quelli che lo spirito del proprio tempo lo percepiscono alla perfezione e, grazie a Dio, sembra stiano lavorando intensamente per accontentarci.

18.9.07

È un problema di spazio

Anche la disperazione impone dei doveri
e l'infelicità può essere preziosa
non si teme il proprio tempo è un problema di spazio
non si teme il proprio tempo è un problema di spazio

[CSI - La linea gotica]

Basta, occorre che io scriva.
Ragazzi, amici bloggers baresi, vi chiamo ad esprimervi su una questione per me fondamentale.
Pur non potendomi dire propriamente vicina alla laurea, sento ormai da tempo il peso delle risoluzioni che ci si aspetta che io prenda riguardo al mio imminente futuro.
Come sapete, il mio campo (mio? E da quando? Quanti dubbi ancora irrisolti m’impediscono di abbandonarmi completamente alla vocazione?) è l’Architettura con tutti i suoi dintorni, e come certo anche saprete, Bari non è una città in cui per un architetto sia poi semplice trovare risposta alle proprie aspirazioni. Dunque, sembra prospettarsi per me quasi ovvia la scelta della partenza, prima o poi; se io lo voglia o no, non è né chiaro, né a quanto pare importante.
Certo, ho avvertito spessissimo chiari segni da parte mia di una sincera vocazione al nomadismo. Ho voglia di stare per un po’ in un posto dove mi sia necessario parlare un’altra lingua, e poi un’altra, e poi un’altra. Non che non ami la mia, tutt’altro, mi sapete senz’altro feticistissima al riguardo. Ma così, per cambiar aria, per imparare tutto ciò che la mia storia personale mi ha impedito di apprendere finora.
Ma l’altra faccia di questa medaglia (al valore perduto) è il dolore che già oggi provo al pensiero della partenza. Lasciare tutto ti sradica, bando ad illusioni contrarie, ed io ho paura. Paura di ascoltare per telefono quella voce strana che mia madre fa quando sono lontana, anche solo per poco: una voce diversa, una voce per estranei. Ho paura di non poter vedere i miei invecchiare e mio fratello diventare un uomo. Per come son fatta, prima o poi gli impegni mi fagociterebbero, e riuscirei a vederli pochissimo. Talmente mi fa soffrire questo che scrivo, colleghi, che lo faccio a fatica.
Eppure, qui non si può restare. Per quanto io l’ami, questa città è una delusione continua. Per qualsiasi minuscola cosa ci si deve scontrare contro muri di disperazione, di noia, di indifferenza, di sonno. Io la difendo a spada tratta sempre, la mia tana; fronteggio detrattori di tutte le specie, con tutti gli argomenti che posso, primo l’orgoglio.
Ma poi, quando resto con te da sola, mia patria malata, sei proprio tu ad allontanarmi. Non è così? Come la lupa amorevole con il cucciolo ormai grande.
Che devo fare?
Sperimentare la vita vera al di là della linea d’ombra? Scoprire di quanto mi sono privata fino ad oggi, dolermene tanto da non riuscire ad impadronirmene, e tornare con la coda tra le gambe? Oppure, mandare tutto al proprio fanculo, scappare, sperare di sfondare (dove? chi?), dimenticare il resto?

Ecco che qui ricorro al vostro capezzale, allora, voi che conoscete ciò di cui parlo, fratelli miei!
Io conosco certi di voi, come me, che hanno ancora speranze per questa città. Che farete? Resterete? Se solo fossimo così tanti, così forti da ricostruire ciò che anni di silenzio hanno distrutto… Riempiamo Bari di gallerie d’arte, di movimento, parliamo! Che ci sia ad ogni angolo musica e colore; che si formino salotti, riviste, opinioni; che s’ami quanto c’è da amare, ed odi quanto lo occulta.
Vi prego, io andrò via, ma voglio tornare; ditemi che lo faremo tutti, che ci sarà un futuro per il luogo in cui siamo nati!


16.9.07

Wilkommen daheim. Vìtei zpatkj. Bienvenidos. Bentornati.


«Se al mattino ti alzi senza provare dolore,
sappi che sei morto.»
Adagio russo

Un incipit di discutibile gusto, se volete, e non ho da contraddirvi; ma questo è l'umore al ritorno dal lungo giretto che dalle wiener Sternen (?) mi ha portato a los establos Valencianos (!) con un diminuendo costante (e con una traduzione, è ovvio, assolutamente maccheronica).
Se il mio ritorno alla produzione su questo blog sia convinto o meno, non saprei dirlo: sto riscoprendo la gioia della comunione segreta dei miei pensieri con me stessa, ma mi sento anche tremendanente sola.

Il discorso sul mio destino si sta facendo sempre più strada tra gli altri e rischia di monopolizzare le mie cervella.
Ho paura di aver sbagliato tutto. So, se c'è mai qualcosa al mondo che io abbia saputo, che non potrò vivere se la mia vita non sarà la vita di un'artista; ma sono sprovvista di talenti particolari, oppure le migliaia di idee che il mio cervello produce ogni giorno soltanto chiedono che io mi dedichi loro, che io dia loro voce, che io mi decida a prendere in mano un benedetto pennello, o una chitarra, o una penna... mentre la paura di abbandonare il resto mi schiaccia, ed io non so. Non so più nulla.

Il fallito rifugio in emozioni elementari, hollywoodiane, è l'altra faccia del mio anelito impossibile alla bellezza delle cose complesse. I giganti mi schiacciano. Le stelle sono gelate. Esistono persone in grado di provocarmi sofferenza per il loro solo esistere, ed io le amo per questo.

Quando la gente asserisce di essere in cerca di un senso per la propria esistenza, intende davvero ciò che intendo io? Si sentono davvero tutti così, come un bambino con un'armatura medievale addosso, che non riesce a tener su la spada? Come chi, risvegliato da morte apparente, cerchi di risalire a galla del mucchio di corpi della fossa comune, seguendo il bagliore tra le membra putrescenti, cercando il profumo dell'ossigeno?
Finirà mai questa mia sete di un riscontro epico alla mia passione? Quanto forte dovrò gridare giustizia per farmi crocifiggere? Perché mi sento sempre un feto in attesa di nascere?

Le foto che avete visto sono qualcosa di questi viaggi guardata con i miei occhi. L'unica foto non mia è la terza, e ringrazio per essa Silvia che me l'ha concessa tenendo fede al comunismo fotografico (da ciascuno secondo la propria disponibilità di memoria SD a ciascuno secondo la propria necessità di immortalare) che ha caratterizzato tutto questo pellegrinaggio.
Prosit,

Maat