«Se dovessi rivolgermi alle “nuove generazioni”, direi quanto segue:
1 Evitate di frequentare l’università, ormai istituzionalizzata e burocratizzata. L’architettura non può che essere fuori degli atenei.
2 Sospettate di chiunque parli di “cultura del progetto”. È un alibi evasivo di comodo. L’unica cultura valida è quella dell’architettura.
3 Diffidate non solo di dogmi e idoli, ma anche di filosofeggiamenti pseudo-super-strutturali, che caratterizzano la maggior parte dei discorsi a tempo perso che si fanno nei corsi di progettazione.
4 Puntate sul linguaggio, in alto, in basso e al centro. Per chiarezza: in alto, Frank Lloyd Wright; in basso, Frank O. Gehry; al centro, Günther Behnish. Comunicazione poetica, comunicazione in gergo e comunicazione letteraria moderna.
5 Confidate nel nuovo, nella modernità rischiosa, nella modernità “che fa della crisi un valore”. Pertanto smettete di sottolineare quanto di vecchio c’è nel nuovo, e riconoscete invece quanto c’è di autenticamente nuovo. La nostra cultura è gremita di valori “in sospeso”, virtuali, non sviluppati, da afferrare e far vivere.
6 Cercate di disegnare meno possibile. Lo spazio non si può disegnare, ed è l’unica cosa importante in architettura.
7 Rifiutate ogni metodologia deduttiva, quella su cui si basa la ricerca universitaria. Einstein e Popper hanno insegnato: senza dedurre, inventare e verificare. Magari per falsificare.
8 Punti di riferimento: William Morris e la teoria dell’elenco dei contenuti e delle funzioni; Art Nuoveau e Bauhaus per l’asimmetria e la dissonanza; Espressionismo (da Häring a Scharoun) per la tridimensionalità anti-prospettica; Theo van Doesburg e De Stijl, per la scomposizione quadridimensionale (ripresa oggi dai decostruttivisti); Fuller, Morandi, Musmeci per il coinvolgimento strutturale dell’architettura; Wright per lo spazio fluente; la paesaggistica più avanzata per il continuum fra edificio, città e territorio. Sette invarianti, o principi, o caratteri non solo del linguaggio dell’architettura moderna, ma del linguaggio moderno dell’architettura.
9 Bandite ogni discorso sull’“autonomia dell’architettura”. L’architettura è splendidamente libera perché è strutturalmente coinvolta.
È tutto. Mi auguro che la mia assenza vi renda felici.
Con ogni cordialità,
1 Evitate di frequentare l’università, ormai istituzionalizzata e burocratizzata. L’architettura non può che essere fuori degli atenei.
2 Sospettate di chiunque parli di “cultura del progetto”. È un alibi evasivo di comodo. L’unica cultura valida è quella dell’architettura.
3 Diffidate non solo di dogmi e idoli, ma anche di filosofeggiamenti pseudo-super-strutturali, che caratterizzano la maggior parte dei discorsi a tempo perso che si fanno nei corsi di progettazione.
4 Puntate sul linguaggio, in alto, in basso e al centro. Per chiarezza: in alto, Frank Lloyd Wright; in basso, Frank O. Gehry; al centro, Günther Behnish. Comunicazione poetica, comunicazione in gergo e comunicazione letteraria moderna.
5 Confidate nel nuovo, nella modernità rischiosa, nella modernità “che fa della crisi un valore”. Pertanto smettete di sottolineare quanto di vecchio c’è nel nuovo, e riconoscete invece quanto c’è di autenticamente nuovo. La nostra cultura è gremita di valori “in sospeso”, virtuali, non sviluppati, da afferrare e far vivere.
6 Cercate di disegnare meno possibile. Lo spazio non si può disegnare, ed è l’unica cosa importante in architettura.
7 Rifiutate ogni metodologia deduttiva, quella su cui si basa la ricerca universitaria. Einstein e Popper hanno insegnato: senza dedurre, inventare e verificare. Magari per falsificare.
8 Punti di riferimento: William Morris e la teoria dell’elenco dei contenuti e delle funzioni; Art Nuoveau e Bauhaus per l’asimmetria e la dissonanza; Espressionismo (da Häring a Scharoun) per la tridimensionalità anti-prospettica; Theo van Doesburg e De Stijl, per la scomposizione quadridimensionale (ripresa oggi dai decostruttivisti); Fuller, Morandi, Musmeci per il coinvolgimento strutturale dell’architettura; Wright per lo spazio fluente; la paesaggistica più avanzata per il continuum fra edificio, città e territorio. Sette invarianti, o principi, o caratteri non solo del linguaggio dell’architettura moderna, ma del linguaggio moderno dell’architettura.
9 Bandite ogni discorso sull’“autonomia dell’architettura”. L’architettura è splendidamente libera perché è strutturalmente coinvolta.
È tutto. Mi auguro che la mia assenza vi renda felici.
Con ogni cordialità,
Bruno Zevi»
3 commenti:
zevi era assoluamtne un genio...
Peccato che tanto del fatto stia infangando il suo nome
Non ho mai avuto grande stima degli scritti di Zevi, forse ho incontrato quelli sbagliati. Ma di questo decalogo condivido molte, molte cose.
Parliamone.
Personalmente, non ritengo Zevi un vero e proprio genio, perché è in letargo da tempo dentro di me quella giovane Maat invaghita della critica e della storia dell'Architettura, o meglio, di quella Maat, la parte capace di vedere del genio anche in chi l'Architettura (la vita!) ha amato più raccontarla che farla.
Ma Zevi, se non un genio, è un maestro. Il maestro di tutti quelli che amano la modernità con consapevolezza e una passione che può sopravvivere allo stesso amante: dei miei maestri dell'Architettura, forse è stato il primo, e gli devo moltissimo, perché è riuscito a far venir fuori socraticamente un'avanguardista (riflessiva) da una figlia di una di quelle buone famiglie in cui tutto il nuovo è guardato con sospetto.
Par poco?
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