30.3.07

Dio benedica la gente illuminata

(...) solo un’università che insegni a comprendere, che non si basi sul sapere ma sul metodo della comprensione del sapere sarebbe integrata nella cultura. [...] del sapere si può fare un’abbuffata, ma la comprensione richiede tempo, e chi sottrae tempo alla gioventù non le permette di giungere a maturazione. Chiunque può essere diligente, ma per la creatività è necessaria una certa dose di pigrizia, senza la quale i sapienti non possono raccogliersi in sé stessi, e vengono al mondo troppo presto, come parti prematuri.

[Friedrich Dürrenmatt, 1977]

E c'è chi dice che è proprio l'aforisma "per me" :D

22.3.07

Lo smalto sul nulla

Piccola riflessione dopo la lettura di Casabella 752.
Mi ha molto interessata l’articolo di Dal Co, a titolo Lo smalto sul nulla, a proposito del controverso (giusto per esser clementi) Hotel Marqués de Riscal di Gehry e del nichilismo che si potrebbe dire fondi filosoficamente il decostruttivismo, o qualsiasi teoria architettonica caratterizzi il lavoro del canadese che si rifiuta (a ragione, direi, stavolta) di dichiararsi per una di esse.
Leggendo Benevolo, una volta mi colpì la semplice quanto assennata osservazione secondo la quale l’architettura è l’arte che si evolve più lentamente; essa, per ovvie ragioni tecnico-realizzative ed istituzionali, è in netto ritardo rispetto alle altre. Nulla di più sensato, a mio modesto avviso. È vero infatti che ad ogni epoca corrisponde la propria architettura, ma le evoluzioni fondamentali arrivano comunque con quasi un secolo di differita, soprattutto a partire dal ‘700, quando il mondo comincia ad accelerare tutti i suoi processi vitali. Non a caso, l’Illuminismo produce architetture assolutamente ancient régime, il Decadentismo costruzioni romantiche, il Novecento di Pirandello si attarda su posizioni positivistiche di tutta sicurezza: forse solo oggi Heisemberg comincia a muovere la mano dell’architetto verso l’indeterminazione completa.

Tutto questo però non emenda Gehry dalla paternità dell’obbrobrio de Riscal. L’autocitazionismo in forma di lamine metalliche che ricopre, forse in preda a savio pudore, il più completo nulla architettonico. È questo lo stato dell’arte?
Per fortuna ci pensano Isozaki ed un riscoperto Carlo Scarpa a risollevare le sorti del numero. Anche Jean Nouvel ci mette del suo, mentre stavolta la Hadid non sembra aver poi molto da dire.


19.3.07

Vedi, caro?

Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Vedi cara, tutto quel che posso dire è che cambio un po' ogni giorno e che sono differente.
Vedi cara, certe volte sono in cielo come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
Vedi cara, certe crisi son soltanto segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire.
Vedi cara, certi giorni sono un anno, certe frasi sono un niente che non serve più sentire.
Vedi cara, le stagioni ed i sorrisi son denari che van spesi con dovuta proprietà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.

Non capisci quando cerco in una sera un mistero d'atmosfera che è difficile afferrare.
Quando rido senza muovere il mio viso, quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare.
Quando sogno dietro a frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni, dietro a ciò che non sarà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
Non rimpiango tutto quello che mi hai dato, che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora.
Anche se tutto il mio tempo con te non dimentico perché questo tempo dura ancora.
Non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione che lontano ora mi fa.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.

Tu sei molto anche non sei abbastanza e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi.
Tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco, tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi.
Io cerco ancora, e così non spaventarti quando senti allontanarmi: fugge il sogno, io resto qua.
Sii contenta della parte che tu hai, ti dò quello che mi dai, chi ha la colpa non si sa.
Cerca dentro per capir quello che sento, per sentir che ciò che cerco non è il nuovo o libertà.
Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.

[Francesco Guccini, Vedi cara, da Due anni dopo, 1970]



18.3.07

Note a margine della nebbia

Mi ero dimenticata come la compagnia di Me Stessa potesse piacermi assai più di quella di chiunque altro.

Me Stessa non fa domande sciocche. Posso stare in silenzio per ore con lei, senza sentirmi in imbarazzo.
Me Stessa ha gusti più simili ai miei di quanto pensassi.
Mi piace quel modo che Me Stessa ha di ritagliare per noi due sole piccoli angoli di bellezza nel mondo.
Me Stessa intuisce sempre al volo ciò che intendo.
Me Stessa condivide sempre tutte le mie ansie e le mie estasi.
È incredibile come io e Me Stessa abbiamo lo stesso senso dell'umorismo.
Me Stessa mi fa sempre i regali più belli.
Inoltre, conosce a memoria tutte le canzoni che canticchio per strada, e sembra quasi sempre gradire che io lo faccia.
Me Stessa non mi critica mai per i miei eccessi. Se mai, mi critica nei momenti di stagnazione.
Me Stessa mi accompagnerebbe ovunque, e mi suggerisce sempre deliziose follie che da sola probabilmente non farei.
Credo che sia l'unica persona con cui mi trovo veramente a mio agio.




16.3.07

Nella nebbia

Seltsam, im Nebel zu wandern!
Einsam ist jeder Busch und Stein,
Kein Baum sieht den andern,
Jeder ist allein.

Voll von Freunden war mir die Welt,
Als noch mein Leben licht war;
Nun, da der Nebel fällt,
Ist keiner mehr sichtbar.

Wahrlich, keiner ist weise,
Der nicht das Dunkel kennt,
Das unenntrinnbar und leise
Von allen ihn trennt.

Seltsam, im Nebel zu wandern!
Leben ist Einsamsein.
Kein Mensch kennt den andern,
Jeder ist allein.

Herman Hesse, Im Nebel


Strano, vagare nella nebbia!
È solo ogni cespuglio ed ogni pietra,
né gli alberi si scorgono tra loro,
ognuno è solo.

Pieno di amici mi appariva il mondo
quando era la mia vita ancora chiara;
adesso che la nebbia cala
non ne vedo più alcuno.

Saggio non è nessuno
che non conosca il buio
che lieve ed implacabile
lo separa da tutti.

Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l’altro
ognuno è solo.

11.3.07

Antonio Giona e la necessarietà del necessario


Mi sono persuasa che la possibilità sia una pura astrazione mentale.
Come ben sapete, dai tempi di Aristotele - e probabilmente da prima ancora - si suole descrivere la realtà a mezzo delle due fondamentali categorie - per dirla con Kant - di potenza ed atto. Tali condizioni dell'essere lo collocano rispettivamente nell'universo della contingenza o in quello della necessarietà; una distinzione netta, priva di intersezioni, tra i due è la base fondante di ogni teoria filosofica che consideri l'uomo come individuo libero di operare le proprie scelte con consapevole arbitrio.
Chi abbia mai chiacchierato di arbitrio con me sa bene che io credo fermamente nella totale illusorietà dello stesso, per una naturale tendenza al determinismo che probabilmente non mi scrollerò mai di dosso. Ma stasera tenterò di aggirare l'argomento pur giungendo, ovviamente, a simili conclusioni.

Bene, io credo che ogni cosa sia necessaria. Ovvero, che il Mondo così com'è sia l'unico Mondo possibile. Non
il migliore di Leibniz, non uno in qualsiasi modo eticamente riconoscibile tra gli altri possibili; semplicemente il solo possibile e quindi, il necessario. Chiariamo.
Quando un evento è da considerare contingente? Quando l'evento ad esso precedente (in senso logico, se vogliamo come vogliamo accettare la causa come categoria - kantiana sul serio, stavolta - del reale) possegga una serie di conseguenze tali che nessuna di esse contravvenga a qualche principio logico o qualche legge fondamentale del sistema considerato. Ognuna di queste conseguenze è quindi un evento contingente, e fino a che una delle contingenze non entra nello stato, per così dire "privilegiato", di
atto, resta al pari delle altre sul piano della potenza.
Quando, invece, un evento è da considerare necessario? Quando l'evento ad esso precedente possegga un'unica conseguenza, ovvero tra le tante ce ne sia una sola aderente alle leggi del sistema preso in esame.

Ciò detto, passiamo ad analizzare un episodio di scelta, ovvero un contesto in cui evidentemente avviene lo scisma fondamentale tra le potenze (plurali) e l'atto (singolare).
Devo decidere che libro leggere. Opero una scelta. Questa scelta è basata su dei fattori che ritengo di volermi dare: preferenze (di materia, autore, contesto, eccetera), disponibilità (il libro si trova, posso permettermelo, mi è concesso leggerlo, eccetera).
Si nota che l'evento attuale, effettivo, quello che avrà la meglio sugli altri possibili, sarà del
tutto causato, e di conseguenza univocamente determinato. Infatti, se (pure assecondando preferenze e possibilità) io dovessi arrivare, ad esempio, a due soluzioni entrambe potenzialmente valide a soddisfare il problema, ciò non cambierebbe il fatto che una e una sola sarà alla fine quella che entrerà nell'atto, per l'impossibilità del Mondo di comportarsi in due maniere diverse contemporaneamente.
L'uomo chiama
Caso semplicemente quell'evento, pur necessario, che però non ha i mezzi per prevedere; ogni cosa è rigidamente causata, e quindi il progredire cronologico del mondo è assolutamente necessario ed immutabile. La possibilità non esiste che nella mente dell'uomo, e quindi non è una caratteristica dell'essere.
Sorrido al ricordo di questa bella discussione che ebbe luogo un paio anni fa (quando ancora - e lo dico proprio qui e adesso - tutto ci sembrava davvero
possibile), in cui Lorenzo rifiutò, a ragione, la piena potenza hobbesiana come priva di senso. Oggi io dico: ogni potenza è piena.

Ma ho fatto un'affermazione molto pesante, laddove ho detto: «una e una sola sarà alla fine quella che entrerà nell'atto, per l'impossibilità del Mondo di comportarsi in due maniere diverse contemporaneamente».
Molti di voi, certamente, avranno sentito parlare di fisica quantistica. Bene, io fino ad ora ne ho lette molte in proposito, ma pagherò tanto oro quanto pesa a colui che mi spiegherà quale logica guida questa incomprensibile scienza. No, grazie, non ho bisogno che mi raccontiate di nuovo il paradosso di Schrödinger: conosco l'enunciato a memoria e la sua sintassi non ha segreti per me; ciò che mi serve è che mi si spieghi quale passaggio fisico è in grado di mettere in atto tutte insieme le potenze di una stessa contingenza.
Ho capito che
il modello matematico funziona nel senso che equazioni tratte da esso sono in grado di descrivere il comportamento meccanico della materia a livello subatomico. Bene. Questa proposizione però, per chi sa qualcosa di fisica, è chiaramente troppo generica per sconvolgere un principio fondamentale della logica umana.
Ad ogni modo, e scientificamente parlando, anche se da un punto di vista strettamente meccanico la mia osservazione precedentemente ripetuta dovesse dimostrarsi falsa,
essa risulterebbe ugualmente accettabile sotto un'ottica di relatività einsteiniana per la semplice incomunicabilità degli universi possibili/effettivi, ovvero per l'influenza nulla che ognuno esplica sull'altro.

Ho concluso, ma devo giustificare il titolo del post.
Citanto Antonio Giona, personaggio di questo delizioso libretto di comptes philosophiques (che ho letto di recente dopo averlo scoperto grazie alla visita di Casati alla Laterza il 23 febbraio), ammetto di aver compiuto un piccolo sofisma, un azzardo letterario, una sorta di esempio fuorviante; tuttavia mi sono assai riconosciuta nel personaggio, scopritore del necessario, rinchiusosi per sua esplicita richiesta nel
Teatro dei Possibili.
Ma lascio la scoperta del perché a chi ne sia curioso. Consiglio dunque la lettura di Wassermann e degli altri, e vi lascio, per stasera.

A presto.

1.3.07

Un lancinante desiderio di Architettura

Mi sento così sola nella mia ricerca. Dannazione, speravo che all'università avrei trovato altro. Nella fattispecie, con chi costituire il mio personale nucleo bohèmien, fondare una Scuola di Bari per la rivoluzione totale delle arti e delle architetture.
Questo Amore si è preso una scarpa, un dente, e buona parte di me... ma, me sola? Non voglio crederlo.


Il Politecnico è una strana parte di mondo. Diciamo, una parte sufficientemente variegata da rappresentarlo efficacemente quasi per intero. Una qualità ambientale mediamente scarsa, con i suoi 17 anni di esistenza e gli acciacchi di mezzo secolo, il buon verde, ma che potrebbe essere più verde, il bel ponte sulla piazza coperta a vetro, e ovunque le cacche dei piccioni, le aule a Scianatico e l'aula P. Il DAU e il DEE. La biblioteca e il centro stampa. Il sole dalle vetrate. Il neon. I rapporti con l'AAM e quelli con le aziende. ISF e il mondo reale.



Cosa può venir fuori da tutto questo? Sono autorizzata ad aspirare a qualcosa di grande?


Ho sperato in un carnevale a Dessau, mi sono (pur-troppo) fidata del Paradiso, adesso!, tanto che al suo solo ricordo, mi vien da vivere.

Oh, fratelli disseminati per il mondo! Prendete la mia mano, sporchiamoci di carboncini premonitori! Cosa aspettiamo? Sono qui, sono io che cercavate per il nostro riscatto.


E invece, qui davanti al computer, incapace forse io di vedere in altri occhi il mio stesso bruciare, ma dico, quanto scavare tra l'inettitudine e l'arrivismo? Cercavo amore puro ed ho trovato futile odio, impeto e ed ho avuto noia; ho richiesto un indice di gradimento, mi hanno risposto con un medio di disillusione.

Continuerò il mio solipsistico viaggio finché non sarà qualcuno a cercare me?

Rispondete, se esistete, irrequieti.