28.7.06

Tutto quello che c'è

E più ancora.
Io voglio creare, come Edgar Lee Masters e Fabrizio De André seppero fare solo insieme anche separati da un secolo e mezzo (ma che volete che sia), un mondo che sia da guardare tutto insieme. Sono i miei polmoni che si armano di sensi propri e desiderano respirare più vita di quanta io sia riuscita a fornire loro fino ad ora... 21 anni che si sarebbero potuti riempire anche di altro, ma adesso che senso ha pensarci e parlarne. Ma si può vivere anche con meno cosmesi geriatrica del pensiero, e allora probabilmente potremmo tutti fregarcene e tornare a radici più autentiche, ognuno alla sua. E la mia adesso quale sarebbe? Una e tutte e tutte e la stessa, vorrei vedervi capaci di distinguerne una sulle altre. Il desiderio inestinguibile di guardare tutto, di ascoltare tutto. L'angoscia di non avere abbastanza tempo a disposizione. Una vita maledettamente breve a dispetto delle apparenze. Cinque minuti e una Divina Commedia da leggere, una magari da scrivere. In italo-burkinabé magari, o perchè no in shqipahili, l'hai visto mai. Una voglia quasi ossessiva di vita. Ninfomania di esistenza... esistenze. Tanta paura. Solitudine. La sicurezza di non essere compresi nell'estasi del momento. Quella che alle volte si presenta dentro e la metti a tacere perché per loro è ridicolo. I maledetti loro a cui non vorresti far altro che dedicare tutto. Ma che non potranno mai parteciparne. Lo scopo e la dannazione di un lavoro, destinatari e vanificatori vandali van der Rohe vanagloria. Quando immensa gioia e immensa tristezza si mischiano può esplodere il mondo. Il Big Bang o uno di essi, sono sicura, è nato da una volontà forte. Da qualcuno che aveva capito tutto.
A presto.

Karonin
(piccola luna)

15.7.06

Të këikoj të falur, Jim...

Carry me caravan take me away
Take me to far Berat, take me today
Old Shqiperia with fields full of grain
I have to see you again and again
Take me, arbëresh caravan
Yes, I know you can
Trade winds find galleons lost in the sea
I know where treasure is waiting for me
Silver and gold in the mountains of Fier
I have to see you again and again
Take me, arbëresh caravan
Yes, I know you can!


Percorsi estetici, parte IV - Ndebele, errata corrige

Perdonate l'autocitazionismo. Sì, lo so, è una cosa di pessimo gusto, ma è che bisogna avere l'umiltà di saper ammettere i propri errori e, quando possibile, mostrare pubblicamente la versione corretta delle cazzate dette, anche per fornire un servizio utile alla comunità, l'hai visto mai.
Oggi siamo al quarto piccolo viaggio intorno al mondo, ma stavolta sarà purtroppo un viaggio breve. Andiamo.

Ricordate quando parlammo del Triangolo d'Oro dei Pa Dong? Le donne dal collo lungo e il mistero della loro sopravvivenza?
In quell'epoca io volli sfatare l'assurda diceria secondo la quale in Africa certe donne portassero collari che, inibendo completamente lo sviluppo muscolare del collo, le rendevano facili prede del marito che, al minimo sospetto di adulterio da parte loro, avrebbe potuto smontare il suddetto collare e condannarle in men che non si dica ad una giusta morte per soffocamento. Ebbene, l'usanza dell'allungamento del collo esisteva, ma con ben altre modalità che non ripeterò una seconda volta in questo post. Se vi interessa rileggerne, cliccate qui.
Torniamo dunque a noi.
Una delle più celebri etnie sudafricane è quella Ndebele. Indagando e cercando ho trovato in questa una incredibile comunanza con i Pa Dong per l'effettivo uso di simili collari, bracciali e cavigliere dorati per l'estetica femminile. Da qui è nata immediatamente la necessità di pubblicare il mio errata corrige: una tribù africana con le donne che usano pesantissimi collari metallici esiste, ma nulla di tutto ciò assume i caratteri della schiavitù psicologica e fisica di cui si favoleggiava. O, per lo meno, non ho ancora trovato da nessuna parte evidenza di ciò al momento.
Tuttavia, quel che mi sembra di aver capito è che esistono due tipologie di collari.
Una è a spirale, del tutto simile a quella dei Pa Dong, che sembrerebbe indurre nella donna una simile trasformazione fisica, come nella foto che segue.

L'altra, invece, è molto più bassa, rivestita internamente in cuoio e si apre verticalmente sul retro, perdendo dunque ogni potenzialità effettivamente costrittiva e deformante, come nella foto che segue.


Piuttosto, l'ignoranza diffusa lega ancora la donna-collare africana al rosso delle più note tribù orientali che vivono a cavallo tra Kenia, Tanzania e Uganda, come i Masai, i Samburu e i Rentille (quasi indistinguibili tra loro in quanto a costumi ed usi estetici), per il semplice fatto che l'eleganza propria di queste popolazioni, assieme allo sviluppo turistico in particolare keniota, ne ha fatto oggetto di incessante osservazione da vari decenni a questa parte.
In poche parole, gli occidentali conoscono i Masai e null'altro. Di rado l'immagine di una società tribale africana porta automaticamente ai pesanti e coloratissimi mantelli di lana ndebele, perchè di rado si pensa che, ad esempio, esistono zone dell'Africa in cui alle volte il clima è freddo.
Ma prescindendo da tutto ciò, è semmai interessante chiedersi quale sia la ragione dell'ipotetica identicità di tradizioni tra i Pa Dong e gli Ndebele. Al momento, però, questa domanda non riesce a trovare da parte mia alcuna risposta.


3.7.06

Direzioni

«Per impegnare la battaglia quotidiana con se stessi e vincere, ci vogliono un progetto forte, un'ambizione forte, una passione forte.
Un buon mezzo per cavarsela è la sfida, lanciata a se stessi ed al mondo: "con i miei mezzi personali, lontano dalle vie da voi tracciate, riuscirò. Malgrado le insidie, malgrado i trabocchetti, riuscirò".»

Irénée Guilane Dioh

2.7.06

Subitanee prese di coscienza

Maat a mgaagaa na mhalifu.
Mgaagaa kwa dhamiri.