Ecco, come promesso, la prima puntata del no-stro viaggio intorno al mondo alla ricerca della bellezza nelle sue forme variamente architettate ad opera di voi maledetti umani [sciocca, ti sei tradita!]… ehm, volevo dire di noi maledetti umani, noi…
E cominciamo dunque con l’usanza peculiare di una etnia etiope nota col nome di Mursi.
I Mursi sono uno dei più bellicosi popoli della valle dell’Omo, perennemente in conflitto con i vicini Hamer e Bodi. Si tratta di una piccola sacca di circa 3000 individui che vivono in villaggi di capanne e che barattano e scambiano il denaro facile dei pochi turisti di passaggio con moderne armi da fuoco che utilizzano nelle violente faide con le altre tribù, nonché come pura ostentazione di potere. Come in molte altre popolazioni africane, non esiste tradizione scritta ma i problemi del villaggio vengono discussi in riunioni collettive in cui è apprezzato lo sfoggio di abilità oratorie e drammatiche.
Veniamo dunque al costume riguardante la decorazione del corpo.
Gli uomini fanno bella mostra di grandi estensioni di scarificazioni a forma di ferri di cavallo, ognuna delle quali simboleggia l'uccisione di un nemico (pratica considerata lecita e, anzi, riverita ed onorata). Ma sono le donne, come spesso accade, che incarnano l’ideale estetico dei Mursi e ne subiscono le conseguenze. Lungi da me, s’intende, ergermi a giudice etico per contesti che non mi appartengono; peraltro, poi, ritengo che approfondire con occhio completa-mente amorale le questioni di mera estetica possa portare a risultati intellettualmente ben più stuzzican-ti.
Tornando a noi: la donna Mursi.
È usanza che, sin da giovane, ella pratichi nel labbro inferiore un ta-glio da parte a parte e vi inserisca, sostituendolo man mano, un cilindro di bambù di diametro via via mag-giore. Quando tale cilindro raggiun-ge una dimensione giudicata sufficiente, viene sostituito da un piattello in terracotta di forma circolare (se ne trovano anche di semicircolari nella tribù etiope dei Surma), anch’esso sostituito periodicamente con uno più grande, fino al raggiun-gimento di diametri dell’ordine della ventina di centimetri.
Per evitare che il peso del piattello lo porti a cadere verso il basso alterando eccessivamente i lineamenti della donna, si opera in genere l’estrazione degli incisivi inferiori (con metodi a dir poco “artigianali”) in modo che il piattello possa poggiare direttamente sul palato reggendosi in posizione orizzontale (cosa, peraltro, che non sempre riesce alla perfezione).
Ovviamente un accessorio di siffatta mole non può che causare notevoli problemi alla comunicazione verbale e persino all’atto dell’alimentazione; per questo motivo il piattello viene generalmente rimosso durante i pasti rendendo evidente l’ipressio-nante deformazione del labbro, che pende in tutta la sua innaturale lunghezza.
Lo stesso trattamento viene in genere riservato anche ai lobi delle orecchie, evidentemente con mi-nore disagio per le donne e con un effetto meno terrificante all’occhio dell’occidentale. Si può anche notare, infatti, come questa usanza sia piuttosto diffusa anche in Occidente, in particolare tra i punk (o meglio, tra ciò che resta di questa vecchia e variamente interpretata corrente culturale) e in ogni caso ricordi l’uso comune che da noi si fa degli orecchini e dunque generi meno stupore; ovviamente i diametri dei piattelli dei lobi non possono equivagliare quelli degli stessi ornamenti labiali; spesso peraltro sopravviene la rottura del lobo, incapace di resistere alla tensione impostagli.
Quando i coloni giunsero per la prima volta in contatto con i Mursi, restarono talmente inorriditi dall’usanza del piattello che questo popolo si salvò del tutto dalla resa in schiavitù e dalla deportazione, tant’è che in Occidente si diffuse la teoria secondo cui il piattello sarebbe stato solo un deterrente per la deportazione e non già un effettivo retaggio culturale della tribù. Quest’ipotesi sembra oggi poco attendibile perché, come si è detto, è una pratica che richiede tempi lunghi e quindi non sarebbe stato possibile improvvisarla all’arrivo del bianchi, né si spiegherebbe perché gli uomini ne siano esenti.
In un caso o nell’altro, fatto sta che oggi la dimensione del piattello è direttamente proporzionale all’attrattività femminile per i Mursi ed anzi, persino il prezzo che l’uomo pagherà alla famiglia della futura sposa (in quasi tutta l’Africa il meccanismo della dote è infatti inverso rispetto al nostro antico - ma nemmeno tanto - costume) ne viene significativamente influenzato.
Ma non è tutto. Le donne Mursi amano agghindarsi anche con complicate acconciature costituite da cilindretti cavi in metallo che ingabbiano i capelli, oppure appendere al capo gruppi di pesanti anelli metallici e corna bovine.
Uomini e donne, infine, fanno largo uso di vernici bianche per esaltare la bellezza dei lineamenti propri di questa etnia, mentre sembra che l’usanza del piattello sia entrata in un lento declino.
E cominciamo dunque con l’usanza peculiare di una etnia etiope nota col nome di Mursi.
I Mursi sono uno dei più bellicosi popoli della valle dell’Omo, perennemente in conflitto con i vicini Hamer e Bodi. Si tratta di una piccola sacca di circa 3000 individui che vivono in villaggi di capanne e che barattano e scambiano il denaro facile dei pochi turisti di passaggio con moderne armi da fuoco che utilizzano nelle violente faide con le altre tribù, nonché come pura ostentazione di potere. Come in molte altre popolazioni africane, non esiste tradizione scritta ma i problemi del villaggio vengono discussi in riunioni collettive in cui è apprezzato lo sfoggio di abilità oratorie e drammatiche.
Veniamo dunque al costume riguardante la decorazione del corpo.
Gli uomini fanno bella mostra di grandi estensioni di scarificazioni a forma di ferri di cavallo, ognuna delle quali simboleggia l'uccisione di un nemico (pratica considerata lecita e, anzi, riverita ed onorata). Ma sono le donne, come spesso accade, che incarnano l’ideale estetico dei Mursi e ne subiscono le conseguenze. Lungi da me, s’intende, ergermi a giudice etico per contesti che non mi appartengono; peraltro, poi, ritengo che approfondire con occhio completa-mente amorale le questioni di mera estetica possa portare a risultati intellettualmente ben più stuzzican-ti.
Tornando a noi: la donna Mursi.
È usanza che, sin da giovane, ella pratichi nel labbro inferiore un ta-glio da parte a parte e vi inserisca, sostituendolo man mano, un cilindro di bambù di diametro via via mag-giore. Quando tale cilindro raggiun-ge una dimensione giudicata sufficiente, viene sostituito da un piattello in terracotta di forma circolare (se ne trovano anche di semicircolari nella tribù etiope dei Surma), anch’esso sostituito periodicamente con uno più grande, fino al raggiun-gimento di diametri dell’ordine della ventina di centimetri.
Per evitare che il peso del piattello lo porti a cadere verso il basso alterando eccessivamente i lineamenti della donna, si opera in genere l’estrazione degli incisivi inferiori (con metodi a dir poco “artigianali”) in modo che il piattello possa poggiare direttamente sul palato reggendosi in posizione orizzontale (cosa, peraltro, che non sempre riesce alla perfezione).
Ovviamente un accessorio di siffatta mole non può che causare notevoli problemi alla comunicazione verbale e persino all’atto dell’alimentazione; per questo motivo il piattello viene generalmente rimosso durante i pasti rendendo evidente l’ipressio-nante deformazione del labbro, che pende in tutta la sua innaturale lunghezza.
Lo stesso trattamento viene in genere riservato anche ai lobi delle orecchie, evidentemente con mi-nore disagio per le donne e con un effetto meno terrificante all’occhio dell’occidentale. Si può anche notare, infatti, come questa usanza sia piuttosto diffusa anche in Occidente, in particolare tra i punk (o meglio, tra ciò che resta di questa vecchia e variamente interpretata corrente culturale) e in ogni caso ricordi l’uso comune che da noi si fa degli orecchini e dunque generi meno stupore; ovviamente i diametri dei piattelli dei lobi non possono equivagliare quelli degli stessi ornamenti labiali; spesso peraltro sopravviene la rottura del lobo, incapace di resistere alla tensione impostagli.
Quando i coloni giunsero per la prima volta in contatto con i Mursi, restarono talmente inorriditi dall’usanza del piattello che questo popolo si salvò del tutto dalla resa in schiavitù e dalla deportazione, tant’è che in Occidente si diffuse la teoria secondo cui il piattello sarebbe stato solo un deterrente per la deportazione e non già un effettivo retaggio culturale della tribù. Quest’ipotesi sembra oggi poco attendibile perché, come si è detto, è una pratica che richiede tempi lunghi e quindi non sarebbe stato possibile improvvisarla all’arrivo del bianchi, né si spiegherebbe perché gli uomini ne siano esenti.
In un caso o nell’altro, fatto sta che oggi la dimensione del piattello è direttamente proporzionale all’attrattività femminile per i Mursi ed anzi, persino il prezzo che l’uomo pagherà alla famiglia della futura sposa (in quasi tutta l’Africa il meccanismo della dote è infatti inverso rispetto al nostro antico - ma nemmeno tanto - costume) ne viene significativamente influenzato.
Ma non è tutto. Le donne Mursi amano agghindarsi anche con complicate acconciature costituite da cilindretti cavi in metallo che ingabbiano i capelli, oppure appendere al capo gruppi di pesanti anelli metallici e corna bovine.
Uomini e donne, infine, fanno largo uso di vernici bianche per esaltare la bellezza dei lineamenti propri di questa etnia, mentre sembra che l’usanza del piattello sia entrata in un lento declino.
Si ringraziano le fonti:
Ultima Africa, Gianni Giansanti, 2004 Edizioni White Star, Vercelli;
http://www.voyagesaventures.com/.
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