22.11.07

Ed io godo ancor poco

«[...]
O greggia mia che posi, oh te beata,

Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sé queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
[...]»

[da Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Giacomo Leopardi, 1829-1830]

1 commento:

Ferenczi ha detto...

Si tratta di una verità unica, assoluta. Le bestie, non disponendo della coscienza né del ricordo (eccettuato quello legato ai traumi, perlopiù fisici) vivono meglio...
Viva la labotomia.

Fer.