Siamo pieni di pregiudizi. Io sono piena di pregiudizi.
Ieri camminavo tristemente per Piazza Umberto, col mio solitario yoghurt di Yogo tra le mani, e per mangiarlo più agevolmente (data la credo nota scomodità del tutto) mi son seduta a una panchina.
Alla mia destra vedo un folto gruppo di persone, pallidini, vestiti di scuro, tristemente, in modo assai passé. Li sento parlare animatamente una lingua sconosciuta. Penso: certo che gli Ucraini l'hanno proprio monopolizzato, il giardinetto.
Al che questi si alzano decisi ad andar via, e mi passano vicino. Ad un'analisi più attenta, il loro idioma si rivela essere dialetto di Molfetta. Stretto.
Andati i falsi Ucraini, li sostituisce un manipolo di punkabbestia. Li osservo rispettosamente, ma mi riconosco diversa da loro. Hanno un'estetica convincente ed a tratti affascinante; ma poi, penso, per lo più sono dei disadattati. Chissà i loro affetti, chissà se hanno una stabilità emotiva migliore della mia, chissà se la loro famiglia li vuole ancora.
Al che, uno risponde al cellulare (la cui suoneria era peraltro The Entertaniner di Gershwin*) e fa: «No Ma', non ti preoccupare. Devo andare 'sto pomeriggio con Nonno Vito.»
Infine, di ritorno a casa, vedo una graziosa famigliola composta da una giovane mamma e due bambini con cartella; a giudicare dai tratti somatici, probabilmente mauriziani. Penso: un giorno avremo anche noi i nostri immigrati di seconda e terza generazione, e saranno italiani a tutti gli effetti. Questo giorno è lontano ma lo aspetto con ansia.
Poi, la mamma si rivolge al pargolo con un impeccabile accento barese.
Alle volte bisogna ammetterlo. Integrare (davvero) le diversità nel proprio cervello è più difficile che farlo nelle proprie strade.
*Errata corrigo: come mi si fa giustissimamente notare, ovviamente Scott Joplin.
Ieri camminavo tristemente per Piazza Umberto, col mio solitario yoghurt di Yogo tra le mani, e per mangiarlo più agevolmente (data la credo nota scomodità del tutto) mi son seduta a una panchina.
Alla mia destra vedo un folto gruppo di persone, pallidini, vestiti di scuro, tristemente, in modo assai passé. Li sento parlare animatamente una lingua sconosciuta. Penso: certo che gli Ucraini l'hanno proprio monopolizzato, il giardinetto.
Al che questi si alzano decisi ad andar via, e mi passano vicino. Ad un'analisi più attenta, il loro idioma si rivela essere dialetto di Molfetta. Stretto.
Andati i falsi Ucraini, li sostituisce un manipolo di punkabbestia. Li osservo rispettosamente, ma mi riconosco diversa da loro. Hanno un'estetica convincente ed a tratti affascinante; ma poi, penso, per lo più sono dei disadattati. Chissà i loro affetti, chissà se hanno una stabilità emotiva migliore della mia, chissà se la loro famiglia li vuole ancora.
Al che, uno risponde al cellulare (la cui suoneria era peraltro The Entertaniner di Gershwin*) e fa: «No Ma', non ti preoccupare. Devo andare 'sto pomeriggio con Nonno Vito.»
Infine, di ritorno a casa, vedo una graziosa famigliola composta da una giovane mamma e due bambini con cartella; a giudicare dai tratti somatici, probabilmente mauriziani. Penso: un giorno avremo anche noi i nostri immigrati di seconda e terza generazione, e saranno italiani a tutti gli effetti. Questo giorno è lontano ma lo aspetto con ansia.
Poi, la mamma si rivolge al pargolo con un impeccabile accento barese.
Alle volte bisogna ammetterlo. Integrare (davvero) le diversità nel proprio cervello è più difficile che farlo nelle proprie strade.
*Errata corrigo: come mi si fa giustissimamente notare, ovviamente Scott Joplin.
7 commenti:
Ciao Rossella :)
qui non è nemmeno questione di avere pregiudizi. Anche perchè storicamente ammettere di avere "un problema" rappresenta già in buona parte il superamento dello stesso, quindi anche assumendo che tu abbia pregiudizi, la sola disamina di ciò ti rende già molto migliore di chi:
- fa politiche di tolleranza e non integra legalmente "l'altro" nella nostra società;
- chi non fa politiche di tolleranza, sparerebbe con le baionette a vista, farebbe ergere una torretta all'altezza di Lampedusa, dimenticandosi del nostro passato (e anche del nostro presente) da emigranti;
- chi NON fa politica, non segue politiche, non si interessa, non ha spirito civico, però gli stranieri sono tutti delinquenti. A parte gli americani che ammazzano gente in Iraq ma sono così brava gente...
n.b. amo l'America, ma poco tollero l'ignoranza. E chi fa soldi sfruttando il popolo e non educandolo.
Il percorso dell'integrazione è lungo e a dirti la verità non sono nemmeno così ottimista sul fatto che si possa fare realmente intercultura in Italia. Dovremmo prima avere un'identità, poi poter farci contaminare. E manca da sempre la prima parte del concetto. Mondiali di calcio a parte.
Ho usato volontariamente la parola "intercultura" piuttosto che il modaiolo concetto di multicultura giacchè quest'ultimo nasconde un'ideologia profondamente razzista per cui
"sì, ok, sei il benvenuto, siete tutti i benvenuti. però i rom in quell'angolo là grazie."
però se non siamo noi giovani, presunta classe dirigente di un più che presunto futuro, a scuotere le coscienze, almeno provarci a scuoterle, ce cambam a fà?
Già, è difficile vivere in un mondo così liquido.
Succede anche a me di salire sull'autobus e cercar di capire di quale nazionalità siano le persone che stanno parlando - per poi rendermi conto che è dialetto stretto.
Boh. Se facessero un corso di l'integrazione socio-razziale probabilmente m'inchioderei al primo banco.
E comunque The entertainer è di Scott Joplin ;)
Mozzylla: giustissimo, pardon!
Ma era un lapsus freudiano: The Entertainer l'avevo studiata per chitarra in un periodo in cui facevo anche cosucce di Gershwin.
Me miseranda ^^
sorella,
io ho di meglio.
Un capoverdiano che mi parla in uno splendido dialetto palemmitano!!!
Un bel ragazzone, alto e scuro che saluto sempr econ un "salutimmo a vossignoria".
E lui felice e sorridente.
Il Sud del mondo è proprio qui accanto al mio uscio.
E crea piccole opere d'arte temporanee con pasta, pomodorino e rucola. Sapientemente dosate e cotte vanno giusto giusto nel mio pancino.
E parla con un bellissimo accento francese.
Sono felice di rileggerti,
Ismaele.
Ciao,son finito qui sopra,usando un espressione a me cara,abbastanza ad minchiam però devo dire che questo argomento mi interessa non poco e nell'ultimo periodo mi capita di pensarci abbastanza spesso.visto che hai usato degli esempi pratici,lo farò anche io:D
Sembra incredibile ma nel mio quartiere,il libertà,si possono notare certi fenomeni più che in altre parti di bari.Cè un angolo,fra via crispi e via pietro ravanas,divenuto per me tristemente famoso perchè stazionano costantemente li,o meglio stazionavano,alcuni giovani elemementi ben poco raccomandabili,se vogliamo fare un paragone cinematografico dei giovani poco di buono in stile c'era una volta in america.Solo che al posto di de niro cè un ragazzo sui 120 kg,codino lucente per la sporcizia e parlata tipicamente libertina.ho usato il passato perchè poco tempo fa nei pressi dell'angolo ha aperto un negozio gestito da gente di colore,ed ora sempre più spesso a quell'angolo vedo presenze "nere" e i miei cari compagni di quartiere hanno spostato leggermente il loro raggio d'azione.la cosa mi ha colpito nn poco,cè da chiedersi queste persone saranno meglio dei precedenti abituè dell'angolo?saranno peggio?che cosa potrà succedere?domande a cui nn so rispondere,di certo la cosa mi turba un po visto che all'angolo successivo da un po di tempo a questa parte al posto della storica salumeria de carne ora cè un negozio gestito da cinesi...
Questo è davvero un bellissimo scritto.
@ Claudio:
Grazie caro. Io da te ci passo spesso, comunque, non ti credere :D
@ Ismaele:
È un piacere tornare a scrivere per i giusti lettori.
Tungjatjeta! ;)
@ Doonie:
Vero. Ma infatti il mio post tradisce una - nemmeno tanto subcosciente - sensazione di star dalla parte del giusto, pregiudizi (fisiologici?) a parte...
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