Ci si chiedeva: se mi trapianto un braccio, sono ancora io? Si di-rebbe di sì.
Se mi trapianto un organo vitale? Il cuore, il fegato, ad esempio? Ovviamente pare anco-ra di sì.
Se mi trapianto tutti gli organi vitali ad eccezio-ne del cervello? Così si dice comunemente.
Se cambio corpo e, dunque, in fin dei conti quello che sto trapiantando è il mio cervello?
Calma, un attimo. Cosa intendo dire per “sono ancora io”? Questo è da stabilire con esattezza.
Dunque, intendo dire questo, e cioè: poiché si sostiene che l’essenza dell’uomo in quanto animale razionale sia la sua intelligenza, sembrerebbe che il suo essere sia racchiuso principalmente nella sua personalità, scindibile dalla sua fisicità corporea che, per il buon senso comune, importante lo è, ma di certo contingente. Nel senso che se mi tingo i capelli nessuno stenta a riconoscermi; se mi cambio la faccia (alla face/off maniera, insomma) la cosa sarà destabilizzante per un po’, ma dopo nessuno avrà difficoltà nell’accettare che chi gli parla è ancora la vecchia Maat.
Dunque, l’essenza dell’uomo è la sua personalità. Diciamo pure così (checchè chi abbia avuto la sfortuna di incrociarmi altrove sulle tortuose strade dell’etica dell’ontologia sappia come la penso a riguardo, ma è inutile adesso stare a complicare la faccenda che già semplice non è di certo).
E dove risiede la personalità? Alquanto poco romantico forse, ma direi che siamo tutti d’accordo che risiede stabilmente in qualche zona non meglio precisata dell’encefalo. Quindi, io credo, se spostiamo il cervello da una parte in un’altra del mondo, ciò non dovrebbe nuocere in alcun modo alla “personalità” in esso “contenuta”. Infatti, anche se, fisiologicamente parlando, il ragionamento è costituito da una serie di raffinate combinazioni elettriche, credo di poter affermare con una certa tranquillità che anche persone che abbiano subito interruzioni dell’attività cerebrale (sempre per un ristrtetto lasso di tempo però), al ripristino di esse non abbiano necessariamente subito un resettaggio totale. In tal caso la personalità sarebbe contenuta in un supporto di memoria non (del tutto) volatile, per usare una metafora molto fashion. Ma, insomma, poiché non sono nè una neuropsichiatra né una paragnosta posso anche aver detto un mare di idiozie da… dunque… circa 10 righi a questa parte, e quindi diciamo che siamo d’accordo nell’ammettere che potrà probabilmente esistere in futuro un metodo di trapianto di cervello tale da conservare la continuità dell’attività cerebrale per l’arco di tempo sufficiente a far “sopravvivere” in esso la memoria relativa alla personalità. Così, stiamo affermando che il trapianto del cervello costituisce, di fatto, un trapianto di identità, volendo prenderci il lusso di sovrapporre personalità ed identità per le considerazioni di cui sopra riguardo all’essenza.
Facciamo un altro passo avanti. Che succederebbe se fosse possibile creare in laboratorio un cervello biologicamente identico ad uno esistente, un clone esatto ma del tutto vergine, tabula rasa di esperienze e se, contemporaneamente, si riuscisse a trovare il modo di trasportare tutte le informazioni circa la personalità dell’individuo esistente in questo nuovo “contenitore”?
Due sembrano le strade, e le discutiamo entrambe.
1) Mettiamo il caso che un uomo si sia fatto clonare il corpo (comprensivo di cervello) per ragioni preventive e che quest’uomo sia adesso in fin di vita. Egli potrebbe prendere i medici e dir loro: “prendete dalla mia testa tutto quello che c’è e mettetelo nella testa del clone”. In questo modo egli spera di chiudere gli occhi nel suo vecchio corpo e riaprirli un attimo dopo nel suo corpo nuovo di zecca, quindi alzarsi e andarsene fresco come una rosa, ben soddisfatto di averla messa a quel servizio alla Signora con la Falce. Egli, di fatto, è diventato immortale, perché può ripetere questa operazione un numero imprecisato di volte.
2) Mettiamo il caso, invece, che siccome, come dicevamo, l’identità è assimilabile alla personalità, la personalità al ragionamento, alle opinioni e alle emozioni, e poichè questi ultimi sono composti di banali segnali elettrostatici pure altrove esistenti in natura, allora (per la proprietà transitiva e per la solita metafora fashion) mettiamo che sia possibile non solo trasferire i dati da un supporto a un altro, ma anche masterizzarli a piacimento. E dunque, mettiamo che l’operazione riesca bene come prima, a meno però di un banale errorino di tempismo e così, per una frazione di secondo, quando il nostro clone apre gli occhi contento e convinto di averla fatta franca, l’organismo “sorgente” non li abbia ancora chiusi. Si vede bene che in quella frazione di secondo sono vissuti due organismi geneticamente ed intellettualmente identici, ognuno convinto di essere se stesso.Allargando a dismisura il problema, potremmo pensare anche a due o più cloni generati dallo stesso uomo, che si presentino l’uno all’altro dicendo “salve, io sono io”, “anch’io”, “anch’io”…
Quindi forse sembrerebbe prevalere l’inquietante (ma, al tempo stesso, tranquillizzante) seconda teoria, per cui alla vecchia Mietitrice non la si fa. Tutto questo, ovviamente, a meno che magari la scienza non venga un giorno a realizzare che non è possibile operare copie di identità, ma solo trasferimenti. In questo caso dovremmo tornare qui a discutere se in effetti chi si risveglia nel nuovo corpo sia di nuovo lo stesso individuo iniziale oppure un altro, semplicemente identico al precedente per fisicità (a meno di caratteri acquisiti, s’intende), intelligenza e memoria ma pienamente convinto di essere… quello di prima.
Eppure non è finita qui. Anche nell’apparentemente meno problematica seconda possibilità è palese che si affaccia un mastodontico problema di logica e di ontologia.
Se l’organismo originale e il suo sostituto sono identici per corpo e intelligenza, cosa fa del primo e solo del primo ciò che è veramente?
Si vede bene che, come direbbe un matematico, il problema risulta svincolato dalla scelta del codominio, ovvero questo quid che differenzia l’individuo emittente dal destinatario non dipende di certo dal destinatario stesso. E abbiamo eliminato una possibilità.
Resta comunque che, quando il trasferimento di personalità avviene mediante il trasferimento fisico dell’encefalo, si era tutti d’accordo senza tanti problemi che chi si era addormentato prima permaneva proprio se stesso al risveglio. Si giunge dunque al seguente delizioso paradosso:
Esiste davvero un’anima che svanisce irreversibilmente al momento della morte? Se sì, questa è legata al corpo mediante un legame del tutto materiale, dislocato in qualche zona del cervello (i famosi 21 grammi?).
Se viene a mancare una delle precedenti ipotesi, ovvero non esiste un’anima o questa è del tutto eterea, allora l’uomo è potenzialmente immortale.
Ebbene, forse una soluzione a questo problema c’è, perché ammetto di aver fatto uso un po’ sofistico di certe sfumature della lingua italiana.
Io però la soluzione la lascio a voi.
E sennò che gusto c’è, porca miseria?
Se mi trapianto un organo vitale? Il cuore, il fegato, ad esempio? Ovviamente pare anco-ra di sì.
Se mi trapianto tutti gli organi vitali ad eccezio-ne del cervello? Così si dice comunemente.
Se cambio corpo e, dunque, in fin dei conti quello che sto trapiantando è il mio cervello?
Calma, un attimo. Cosa intendo dire per “sono ancora io”? Questo è da stabilire con esattezza.
Dunque, intendo dire questo, e cioè: poiché si sostiene che l’essenza dell’uomo in quanto animale razionale sia la sua intelligenza, sembrerebbe che il suo essere sia racchiuso principalmente nella sua personalità, scindibile dalla sua fisicità corporea che, per il buon senso comune, importante lo è, ma di certo contingente. Nel senso che se mi tingo i capelli nessuno stenta a riconoscermi; se mi cambio la faccia (alla face/off maniera, insomma) la cosa sarà destabilizzante per un po’, ma dopo nessuno avrà difficoltà nell’accettare che chi gli parla è ancora la vecchia Maat.
Dunque, l’essenza dell’uomo è la sua personalità. Diciamo pure così (checchè chi abbia avuto la sfortuna di incrociarmi altrove sulle tortuose strade dell’etica dell’ontologia sappia come la penso a riguardo, ma è inutile adesso stare a complicare la faccenda che già semplice non è di certo).
E dove risiede la personalità? Alquanto poco romantico forse, ma direi che siamo tutti d’accordo che risiede stabilmente in qualche zona non meglio precisata dell’encefalo. Quindi, io credo, se spostiamo il cervello da una parte in un’altra del mondo, ciò non dovrebbe nuocere in alcun modo alla “personalità” in esso “contenuta”. Infatti, anche se, fisiologicamente parlando, il ragionamento è costituito da una serie di raffinate combinazioni elettriche, credo di poter affermare con una certa tranquillità che anche persone che abbiano subito interruzioni dell’attività cerebrale (sempre per un ristrtetto lasso di tempo però), al ripristino di esse non abbiano necessariamente subito un resettaggio totale. In tal caso la personalità sarebbe contenuta in un supporto di memoria non (del tutto) volatile, per usare una metafora molto fashion. Ma, insomma, poiché non sono nè una neuropsichiatra né una paragnosta posso anche aver detto un mare di idiozie da… dunque… circa 10 righi a questa parte, e quindi diciamo che siamo d’accordo nell’ammettere che potrà probabilmente esistere in futuro un metodo di trapianto di cervello tale da conservare la continuità dell’attività cerebrale per l’arco di tempo sufficiente a far “sopravvivere” in esso la memoria relativa alla personalità. Così, stiamo affermando che il trapianto del cervello costituisce, di fatto, un trapianto di identità, volendo prenderci il lusso di sovrapporre personalità ed identità per le considerazioni di cui sopra riguardo all’essenza.
Facciamo un altro passo avanti. Che succederebbe se fosse possibile creare in laboratorio un cervello biologicamente identico ad uno esistente, un clone esatto ma del tutto vergine, tabula rasa di esperienze e se, contemporaneamente, si riuscisse a trovare il modo di trasportare tutte le informazioni circa la personalità dell’individuo esistente in questo nuovo “contenitore”?
Due sembrano le strade, e le discutiamo entrambe.
1) Mettiamo il caso che un uomo si sia fatto clonare il corpo (comprensivo di cervello) per ragioni preventive e che quest’uomo sia adesso in fin di vita. Egli potrebbe prendere i medici e dir loro: “prendete dalla mia testa tutto quello che c’è e mettetelo nella testa del clone”. In questo modo egli spera di chiudere gli occhi nel suo vecchio corpo e riaprirli un attimo dopo nel suo corpo nuovo di zecca, quindi alzarsi e andarsene fresco come una rosa, ben soddisfatto di averla messa a quel servizio alla Signora con la Falce. Egli, di fatto, è diventato immortale, perché può ripetere questa operazione un numero imprecisato di volte.
2) Mettiamo il caso, invece, che siccome, come dicevamo, l’identità è assimilabile alla personalità, la personalità al ragionamento, alle opinioni e alle emozioni, e poichè questi ultimi sono composti di banali segnali elettrostatici pure altrove esistenti in natura, allora (per la proprietà transitiva e per la solita metafora fashion) mettiamo che sia possibile non solo trasferire i dati da un supporto a un altro, ma anche masterizzarli a piacimento. E dunque, mettiamo che l’operazione riesca bene come prima, a meno però di un banale errorino di tempismo e così, per una frazione di secondo, quando il nostro clone apre gli occhi contento e convinto di averla fatta franca, l’organismo “sorgente” non li abbia ancora chiusi. Si vede bene che in quella frazione di secondo sono vissuti due organismi geneticamente ed intellettualmente identici, ognuno convinto di essere se stesso.Allargando a dismisura il problema, potremmo pensare anche a due o più cloni generati dallo stesso uomo, che si presentino l’uno all’altro dicendo “salve, io sono io”, “anch’io”, “anch’io”…
Quindi forse sembrerebbe prevalere l’inquietante (ma, al tempo stesso, tranquillizzante) seconda teoria, per cui alla vecchia Mietitrice non la si fa. Tutto questo, ovviamente, a meno che magari la scienza non venga un giorno a realizzare che non è possibile operare copie di identità, ma solo trasferimenti. In questo caso dovremmo tornare qui a discutere se in effetti chi si risveglia nel nuovo corpo sia di nuovo lo stesso individuo iniziale oppure un altro, semplicemente identico al precedente per fisicità (a meno di caratteri acquisiti, s’intende), intelligenza e memoria ma pienamente convinto di essere… quello di prima.
Eppure non è finita qui. Anche nell’apparentemente meno problematica seconda possibilità è palese che si affaccia un mastodontico problema di logica e di ontologia.
Se l’organismo originale e il suo sostituto sono identici per corpo e intelligenza, cosa fa del primo e solo del primo ciò che è veramente?
Si vede bene che, come direbbe un matematico, il problema risulta svincolato dalla scelta del codominio, ovvero questo quid che differenzia l’individuo emittente dal destinatario non dipende di certo dal destinatario stesso. E abbiamo eliminato una possibilità.
Resta comunque che, quando il trasferimento di personalità avviene mediante il trasferimento fisico dell’encefalo, si era tutti d’accordo senza tanti problemi che chi si era addormentato prima permaneva proprio se stesso al risveglio. Si giunge dunque al seguente delizioso paradosso:
Esiste davvero un’anima che svanisce irreversibilmente al momento della morte? Se sì, questa è legata al corpo mediante un legame del tutto materiale, dislocato in qualche zona del cervello (i famosi 21 grammi?).
Se viene a mancare una delle precedenti ipotesi, ovvero non esiste un’anima o questa è del tutto eterea, allora l’uomo è potenzialmente immortale.
Ebbene, forse una soluzione a questo problema c’è, perché ammetto di aver fatto uso un po’ sofistico di certe sfumature della lingua italiana.
Io però la soluzione la lascio a voi.
E sennò che gusto c’è, porca miseria?
1 commento:
Cara Maat,
causa esami raccolgo solo ora il tuo spunto di discussione, peraltro su di un argomento che mi ha sempre affascinato non poco.
Arriverò subito alla notizia sconvolgente: fisica quantistica e biologia si tengono la mano in un non ben precisato organello rinvenuto (informazione controversa da prendere con le pinze) nei neuroni della corteccia: una specie di nanotubulo di carbonio con qualcosina dentro che va su e giù. A quanto pare questo organello con i suoi moti e le sue disolocazioni sarebbe il tanto ricercato supporto dell'anima.
La fisica sta muovendo i primi passi verso la differenziazione rigorosa tra materia vivente e materia inerte: ne converrai con me, considerando l'emblematico caso di virus e prioni e, in un futuro non si sa quanto remoto, automi che questo confine diventa sempre meno netto.
Immagini di diffrazione: sparando atomi contro una doppia fenditura la loro immagine si sdoppia... è risaputo, si riesce con le alte velocità a far comportare come onda persino una particella pesante, funziona persino coi virus.
Non funziona con le cellule...
Chiudo qui il mio post in maniera degna di un episodio di X-Files e ti saluto, perché la fisica che tanto ho citato mi sta richiamando al dovere... :°
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