11.3.07

Antonio Giona e la necessarietà del necessario


Mi sono persuasa che la possibilità sia una pura astrazione mentale.
Come ben sapete, dai tempi di Aristotele - e probabilmente da prima ancora - si suole descrivere la realtà a mezzo delle due fondamentali categorie - per dirla con Kant - di potenza ed atto. Tali condizioni dell'essere lo collocano rispettivamente nell'universo della contingenza o in quello della necessarietà; una distinzione netta, priva di intersezioni, tra i due è la base fondante di ogni teoria filosofica che consideri l'uomo come individuo libero di operare le proprie scelte con consapevole arbitrio.
Chi abbia mai chiacchierato di arbitrio con me sa bene che io credo fermamente nella totale illusorietà dello stesso, per una naturale tendenza al determinismo che probabilmente non mi scrollerò mai di dosso. Ma stasera tenterò di aggirare l'argomento pur giungendo, ovviamente, a simili conclusioni.

Bene, io credo che ogni cosa sia necessaria. Ovvero, che il Mondo così com'è sia l'unico Mondo possibile. Non
il migliore di Leibniz, non uno in qualsiasi modo eticamente riconoscibile tra gli altri possibili; semplicemente il solo possibile e quindi, il necessario. Chiariamo.
Quando un evento è da considerare contingente? Quando l'evento ad esso precedente (in senso logico, se vogliamo come vogliamo accettare la causa come categoria - kantiana sul serio, stavolta - del reale) possegga una serie di conseguenze tali che nessuna di esse contravvenga a qualche principio logico o qualche legge fondamentale del sistema considerato. Ognuna di queste conseguenze è quindi un evento contingente, e fino a che una delle contingenze non entra nello stato, per così dire "privilegiato", di
atto, resta al pari delle altre sul piano della potenza.
Quando, invece, un evento è da considerare necessario? Quando l'evento ad esso precedente possegga un'unica conseguenza, ovvero tra le tante ce ne sia una sola aderente alle leggi del sistema preso in esame.

Ciò detto, passiamo ad analizzare un episodio di scelta, ovvero un contesto in cui evidentemente avviene lo scisma fondamentale tra le potenze (plurali) e l'atto (singolare).
Devo decidere che libro leggere. Opero una scelta. Questa scelta è basata su dei fattori che ritengo di volermi dare: preferenze (di materia, autore, contesto, eccetera), disponibilità (il libro si trova, posso permettermelo, mi è concesso leggerlo, eccetera).
Si nota che l'evento attuale, effettivo, quello che avrà la meglio sugli altri possibili, sarà del
tutto causato, e di conseguenza univocamente determinato. Infatti, se (pure assecondando preferenze e possibilità) io dovessi arrivare, ad esempio, a due soluzioni entrambe potenzialmente valide a soddisfare il problema, ciò non cambierebbe il fatto che una e una sola sarà alla fine quella che entrerà nell'atto, per l'impossibilità del Mondo di comportarsi in due maniere diverse contemporaneamente.
L'uomo chiama
Caso semplicemente quell'evento, pur necessario, che però non ha i mezzi per prevedere; ogni cosa è rigidamente causata, e quindi il progredire cronologico del mondo è assolutamente necessario ed immutabile. La possibilità non esiste che nella mente dell'uomo, e quindi non è una caratteristica dell'essere.
Sorrido al ricordo di questa bella discussione che ebbe luogo un paio anni fa (quando ancora - e lo dico proprio qui e adesso - tutto ci sembrava davvero
possibile), in cui Lorenzo rifiutò, a ragione, la piena potenza hobbesiana come priva di senso. Oggi io dico: ogni potenza è piena.

Ma ho fatto un'affermazione molto pesante, laddove ho detto: «una e una sola sarà alla fine quella che entrerà nell'atto, per l'impossibilità del Mondo di comportarsi in due maniere diverse contemporaneamente».
Molti di voi, certamente, avranno sentito parlare di fisica quantistica. Bene, io fino ad ora ne ho lette molte in proposito, ma pagherò tanto oro quanto pesa a colui che mi spiegherà quale logica guida questa incomprensibile scienza. No, grazie, non ho bisogno che mi raccontiate di nuovo il paradosso di Schrödinger: conosco l'enunciato a memoria e la sua sintassi non ha segreti per me; ciò che mi serve è che mi si spieghi quale passaggio fisico è in grado di mettere in atto tutte insieme le potenze di una stessa contingenza.
Ho capito che
il modello matematico funziona nel senso che equazioni tratte da esso sono in grado di descrivere il comportamento meccanico della materia a livello subatomico. Bene. Questa proposizione però, per chi sa qualcosa di fisica, è chiaramente troppo generica per sconvolgere un principio fondamentale della logica umana.
Ad ogni modo, e scientificamente parlando, anche se da un punto di vista strettamente meccanico la mia osservazione precedentemente ripetuta dovesse dimostrarsi falsa,
essa risulterebbe ugualmente accettabile sotto un'ottica di relatività einsteiniana per la semplice incomunicabilità degli universi possibili/effettivi, ovvero per l'influenza nulla che ognuno esplica sull'altro.

Ho concluso, ma devo giustificare il titolo del post.
Citanto Antonio Giona, personaggio di questo delizioso libretto di comptes philosophiques (che ho letto di recente dopo averlo scoperto grazie alla visita di Casati alla Laterza il 23 febbraio), ammetto di aver compiuto un piccolo sofisma, un azzardo letterario, una sorta di esempio fuorviante; tuttavia mi sono assai riconosciuta nel personaggio, scopritore del necessario, rinchiusosi per sua esplicita richiesta nel
Teatro dei Possibili.
Ma lascio la scoperta del perché a chi ne sia curioso. Consiglio dunque la lettura di Wassermann e degli altri, e vi lascio, per stasera.

A presto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non IUAV... più su più su...

Fer.

giac ha detto...

ero venuto per scrivere un bel commento citando baudrillard, ma mi han appena chiamato ricordandomi un impegno a cui dovrei essere già da mezz'ora... va bè, meglio, salvato dalla campanella: ho piu' tempo per studiare, non è mica impegno da ridere lasciar commenti sul tuo blog ;-)

Maat ha detto...

Attendo con impazienza. :)