26.2.07

10 cose che avreste dovuto sapere sull'equitazione...

... e che non avete mai chiesto, perché siete dei maledetti spocchiosi e credevate di non averne bisogno.

1. L'equitazione è uno sport.

Uno sport vero, nel senso che uno suda, dimagrisce, si fa i muscoli e torna a casa coll'acido lattico nelle vene.
No, non è che il cavallo si fa il mazzo e tu stai spaparanzato tipo in poltrona. Esiste una lunghissima serie di esercizi massacranti per il cavaliere, e tutto non per il mero gusto di rassodarsi le chiappe, bensì per rendersi capaci di restare in sella in (quasi) tutte le situazioni.Avete presente quel grazioso "su e giù" che il cavaliere fa sulla sella quando il cavallo trotta? Provate a fare lo stesso senza staffe.
Le staffe sono un utile appoggio attraverso cui il cavaliere trasferisce parte del suo peso al cavallo e quindi a terra, ma egli deve garantirsi sicurezza mediante una pressione forte e continua delle gambe sulla sella, il che mette paurosamente sotto sforzo i muscoli dell'interno coscia.
Inoltre: un cavallo può sollevare un uomo di 70 kg col solo collo, senza particolare sforzo. Credete dunque che questo collo non abbia la forza sufficiante a vincere quella delle vostre esili braccine? Bicipiti, tricipiti, deltoidi e dorsali non se la passano meglio degli adduttori della coscia.

2. L'equitazione non è una cosa per signorine con la puzza sotto il naso.

E qui si potrebbero aprire fior di parentesi, che riassumerò nei seguenti punti:
- il cavallo non si pulisce da solo e non esistono folletti magici che lo facciano per voi dopo il tramonto. Se vorrete andare a cavallo dovrete avere a che fare di frequente con fango, terreno, polvere, escrementi vari, bave e peli, peli, peli.
- di per sé, la cura del cavallo è faticosa quanto la monta. Una serie potenzialmente infinita di operazioni precede e segue il momento della monta, la maggior parte delle quali prevede a sua volta fatica fisica direttamente (strigliate o tosate più di due cavalli di fila e comincerete a credere all'incredibile) o indirettamente (trasporto di oggetti pesanti disseminati in genere ovunque per la scuderia), e comunque non vi permette, se siete donne, che la vostra manicure duri più di 45 secondi. Se siete uomini, 30 secondi.
- il cavallo è allo stesso tempo immensamente più forte e immensamente più stupido di voi. Il che, credete, causa una lunga serie di inconvenienti. L'animale ha spesso emozioni per noi non sempre sensate e non è detto che sia semplice tenere a freno 600 kg di "emozioni insensate".


3. Per imparare ad andare a cavallo ci vogliono anni di apprendimento ed esistono varie scuole con metodologie diversissime tra loro.

Quindi, per pietà, non dite che sapete andare a cavallo se una volta a Pasqua avete fatto un giretto in campagna a dorso di mulo.


4. Il cavallo è un essere pensante.

Checché io stessa abbia detto della esiguità delle potenzialità intellettive di un cavallo qualora rapportate a quelle di un uomo (e ci sono comunque casi umani che renderebbero a questo proposito il dibattito assai interessante), l'animale è capace di ragionamenti assai lucidi, per quanto semplici. Un cavallo capisce con semplicità se un cavaliere è principiante o esperto ed agisce di conseguenza (coi principianti portando pazienza, sì, ma anche prendendosi libertà che l'esperto non gli lascerebbe), percepisce ansie e sicurezze del partner, esprime con estrema chiarezza bisogni, paure, allegria, nervosismo, rabbia, noia, affetto e spensieratezza. Riconosce persone e cose, impara in fretta, anche a prendervi in giro.

5. Il cavallo non è un essere umano.

E quindi non lo riempite di ninnoli e fiocchettini per lui completamente privi di significato. Non pretendete che sopporti bambini che gli scorrazzano tra le gambe o gli si attacchino alla coda. O che accetti smancerie a tempo indeterminato: le dimostrazioni d'affetto sono gradite, ma senza eccessiva invadenza.

6. Chi va a cavallo non è un fantino.

Un fantino è esclusivamente il cavaliere che partecipa alle gare di galoppo o di corsa ad ostacoli; gli altri vengono detti semplicemente cavalieri ed amazzoni, a seconda del sesso. E non devono attenersi a restrizioni di peso ed altezza, perché esiste un cavallo per qualsiasi stazza.

7. Andare a cavallo non fa venire le gambe storte.

Fidatevi.

8. Da cavallo si cade.

E molto, decine di volte, soprattutto all'inizio. Dunque non crediate che ogni caduta da cavallo presupponga nella migliore delle ipotesi una paralisi totale del malcapitato solo perché è accaduto a Christopher Reeves; la maggior parte delle cadute avviene senza alcuna conseguenza (se non per l'amor proprio). La prudenza, ovviamente, non è mai troppa, e quindi è d'obbligo l'uso del cap (casco con mentoniera, rivestito in velluto).

9. Il cavallo non salta a comando.

Sembra che una delle curiosità che più affliggono i profani dell'equitazione sia questa. Mi è stato chiesto una marea di volte se i cavalli, posti di fronte ad un ostacolo, saltino spontaneamente o abbiano bisogno di uno specifico comando per farlo.
Ma porca miseria, credete sul serio che un mammifero, se diretto a 60 all'ora contro una parete di legno, ci si chiatri su fracassandosi le ossa a meno che non lo diciate voi?! Ma è chiaro che un cavallo salta ugualmente, se ne ha voglia. La riuscita tecnica di un salto deriva però ovviamente dall'affiatamento del binomio, dalla correttezza dell'avvicinamento all'ostacolo e quindi anche in gran parte dalle prestazioni del cavaliere.


10. Per andare a cavallo non è necessaria una giacca rossa con le code e dei pantaloni bianchi.

Il che fa il paio col punto 2. Gli abiti che userete per andare a cavallo si sporcheranno ed usureranno con facilità. Esiste quindi un abbigliamento specifico, con tessuti e cuoiami studiati per resistere nelle zone di particolare stress e creare la massima comodità, ma non si tratta comunque dei pantaloni bianchi e della giacca rossa che figurano nell'immaginario comune. Quelli sono abiti esclusivamente per la monta inglese, da concorso, e in ogni caso si differenziano a seconda delle discipline.
E non solo: per la monta western, non è che uno si mette un cappello a larghe tese, gli speroni a stella, comincia ad agitare braccia e gambe gridando "yyyyyyehhaaa!" e il gioco è fatto...

***

Bene, spero che questo sussidiario vi sia stato utile, ma soprattutto spero sia utile a me, acciocché alla prima colossale stronzata che mi viene detta o richiesta io possa direttamente indirizzarvi qui ed utilizzare in modo più proficuo il mio scarso tempo.

Sentitevi dunque pure liberi di chiedermi tutto quello che volete, purché non trovi già risposta in queste 10 maledettamente frequently asked questions.

A presto ;)


15.2.07

Cronaca di una vita universitaria

Ho capito: mi sento vivere solo quando il mio corpo fa sforzi paragonabili a quelli del mio cervello.

Oggi: casa - Poliba - casa, a piedi con addosso Pablo (per chi si fosse messo in ascolto soltanto ora, è il mio portatile), la borsa solita con dentro proverbiale astuccio, agenda, AA. VV. - Progettare tetti e coperture, AA. VV. - Repertorio di particolari costruttivi per l'edilizia residenziale, Yunus Cengel - Termodinamica e trasmissione del calore (testi universitari di architettura tecnica e fisica tecnica) ed una busta con dentro le stampe di AT2, una copia degli ultimi numeri di AREA e di CASABELLA (riviste di architettura in costosissime e pesantissime carte patinate).

Insomma: quanto fa 11 kg x 5 km?
Che ne so. Sono solo un ingegnere, io.




















[Foto: io in un momento di pausa.]

Inoltre: Sigmund, corro in tuo aiuto!! Ho trovato un suggerimento per te: heimlich puoi tradurlo liberamente con confidenziale, in italiano. Che ne pensi? Ha anche qui quell'inquietante doppio senso. ;)

10.2.07

Mein Rainer, göttlich liebling

Seconda Elegia

Jeder Engel ist schrecklich. Und dennoch, weh mir,
ansing ich euch, fast tödliche Vögel der Seele,
wissend um euch. Wohin sind die Tage Tobiae,
da der Strahlendsten einer stand an der einfachen Haustür,
zur Reise ein wenig verkleidet und schon nicht mehr furchtbar;
(Jüngling dem Jüngling, wie er neugierig hinaussah).
Träte der Erzengel jetzt, der gefährliche, hinter den Sternen
eines Schrittes nur nieder und herwärts: hochauf-
schlagend erschlüg uns das eigene Herz. Wer seid ihr?

Frühe Geglückte, ihr Verwöhnten der Schöpfung,
Höhenzüge, morgenrötliche Grate
aller Erschaffung, - Pollen der blühenden Gottheit,
Gelenke des Lichtes, Gänge, Treppen, Throne,
Räume aus Wesen, Schilde aus Wonne, Tumulte
stürmisch entzückten Gefühls und plötzlich, einzeln,
Spiegel, die die entströmte eigene Schönheit
wiederschöpfen zurück in das eigene Antlitz.

Denn wir, wo wir fühlen, verflüchtigen; ach wir
atmen uns aus und dahin; von Holzglut zu Holzglut
geben wir schwächern Geruch. Da sagt uns wohl einer:
ja, du gehst mir ins Blut, dieses Zimmer, der Frühling
füllt sich mit dir . . . Was hilfts, er kann uns nicht halten,
wir schwinden in ihm und um ihn. Und jene, die schön sind,
o wer hält sie zurück? Unaufhörlich steht Anschein
auf in ihrem Gesicht und geht fort. Wie Tau von dem Frühgras
hebt sich das Unsre von uns, wie die Hitze von einem
heißen Gericht. O Lächeln, wohin? O Aufschaun:
neue, warme, entgehende Welle des Herzens -;
weh mir: wir sinds doch. Schmeckt denn der Weltraum,
in den wir uns lösen, nach uns? Fangen die Engel
wirklich nur Ihriges auf, ihnen Entströmtes,
oder ist manchmal, wie aus Versehen, ein wenig
unseres Wesens dabei? Sind wir in ihre
Züge soviel nur gemischt wie das Vage in die Gesichter
schwangerer Frauen? Sie merken es nicht in dem Wirbel
ihrer Rückkehr zu sich. (Wie sollten sie's merken.)

Liebende könnten, verstünden sie's, in der Nachtluft
wunderlich reden. Denn es scheint, daß uns alles
verheimlicht. Siehe, die Bäume sind; die Häuser,
die wir bewohnen, bestehn noch. Wir nur
ziehen allem vorbei wie ein luftiger Austausch.
Und alles ist einig, uns zu verschweigen, halb als
Schande vielleicht und halb als unsägliche Hoffnung.

Liebende, euch, ihr in einander Genügten,
frag ich nach uns. Ihr greift euch. Habt ihr Beweise?
Seht, mir geschiehts, daß meine Hände einander
inne werden oder daß mein gebrauchtes
Gesicht in ihnen sich schont. Das gibt mir ein wenig
Empfindung. Doch wer wagte darum schon zu sein?
Ihr aber, die ihr im Entzücken des anderen
zunehmt, bis er euch überwältigt
anfleht: nicht mehr -; die ihr unter den Händen
euch reichlicher werdet wie Traubenjahre;
die ihr manchmal vergeht, nur weil der andre
ganz überhandnimmt: euch frag ich nach uns. Ich weiß,
ihr berührt euch so selig, weil die Liebkosung verhält,
weil die Stelle nicht schwindet, die ihr, Zärtliche,
zudeckt; weil ihr darunter das reine
Dauern verspürt. So versprecht ihr euch Ewigkeit fast
von der Umarmung. Und doch, wenn ihr der ersten
Blicke Schrecken besteht und die Sehnsucht am Fenster
und den ersten gemeinsamen Gang, e i n m a l durch den Garten:
Liebende, seid ihrs dann noch? Wenn ihr einer dem andern
euch an den Mund hebt und ansetzt -: Getränk an Getränk:
o wie entgeht dann der Trinkende seltsam der Handlung.

Erstaunte euch nicht auf attischen Stelen die Vorsicht
menschlicher Geste? war nicht Liebe und Abschied
so leicht auf die Schultern gelegt, als wär es aus amderm
Stoffe gemacht als bei uns? Gedenkt euch der Hände,
wie sie drucklos beruhen, obwohl in den Torsen die Kraft steht.
Diese Beherrschten wußten damit: so weit sind wirs,
dieses ist unser, uns so zu berühren; stärker
stemmen die Götter uns an. Doch dies ist Sache der Götter.

Fänden auch wir ein reines, verhaltenes, schmales
Menschliches, einen unseren Streifen Fruchtlands
zwischen Strom und Gestein. Denn das eigene Herz übersteigt uns
noch immer wie jene. Und wir können ihm nicht mehr
nachschaun in Bilder, die es besänftigen, noch in
göttliche Körper, in denen es größer sich mäßigt.

- traduzione -

Gli Angeli sono tutti tremendi. Eppure, aihmé,

io invoco voi, uccelli d’anima che quasi fate morire,

pur sapendovi. Dove sono i giorni di Tobia,

quando uno dei più radiosi si stette all’umile porta di casa

un po’ travestito da viaggio e, così, già non più pauroso,

(giovane al giovane che guardava fuori curioso).

Si muovesse ora L’Arcangelo, il pericoloso, si muovesse da dietro le stesse

di un passo soltanto, giù verso di noi: con la violenza

del battito, ci ucciderebbe il nostro proprio cuore. Chi siete voi?

Voi, primi perfetti, viziati della Creazione,

profili di vette, creste di tutto il Creato

rosse d’aurore, - polline della divinità in fiore,

articolazioni di luce, anditi, scale, troni,

spazi d’essenza, scudi di delizia, tumulti

di sentimento in tempeste d’entusiasmo, e a un tratto, uno per uno,

specchi : la bellezza che da voi defluisce

la riattingete nei vostri volti.

Ma per noi, sentire è svanire ; ah, noi

ci esaliamo, sfumiamo ; di brace in brace

buttiamo odore più lieve. Ecco, qualcuno ci dice :

sì, tu mi entri nel sangue, questa stanza, la primavera,

s’empie di te ... Che giova, egli non può trattenerci,

noi svaniamo in lui e intorno a lui. E la bellezza

oh, chi la trattiene? Sul volto la sembianza

sorge e spare senza posa. Come rugiada dall’erba novella

quel che è nostro svapora da noi, come il calore da

vivanda calda. Oh, sorriso, dove mai? Oh alzar d’occhi :

nuova, calda, fuggitiva onda del cuore –

aihmé : eppure siamo questo, noi. Avrà forse sapore

di noi il cosmico spazio in cui ci dissolviamo? Sarà vero che gli Angeli

attingono soltanto dal loro, emanato da loro,

o c’è talvolta, come per sbaglio, un po’

d’essere nostro? Ai loro tratti

siam misti soltanto così, come quel che di vago ch’è nel volto

delle gestanti? Gli Angeli non se ne accorgono nel vortice

del loro ritorno a se stessi. (Come potrebbero accorgersene).

Gli amanti potrebbero, se sapessero come, nell’aria della notte

dire meraviglie. Perché pare che tutto

ci voglia nascondere. Vedi, gli alberi sono, le case

che abitiamo reggono. Noi soli

passiamo via da tutto, aria che si cambia.

E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace

un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile.

Amanti, a voi, placati l’uno nell’altro,

io domando di noi. Voi vi avvincete. Ne siete sicuri?

Guardate, mi accade che le mie mani mie s’accorgano

Una dell’altra, o che il mio volto

consunto in esse si riposi. E’ un po’ di

sensazione. Ma per questo soltanto chi oserebbe già essere?

Ma voi che nell’estasi dell’altro

Crescete, finch’esso, vinto,

vi supplica: non più -, voi che sotto le carezze

vi diventate più prosperi, come annate di grappoli ;

voi che se venite meno talvolta, è solo perché l’altro

prevale del tutto: io vi domando di noi. Lo so,

vi toccate beati così, perché la carezza trattiene,

perché non svanisce quel punto che, teneri,

coprite ; perché in quel tocco avvertite

il permanere puro. E l’abbraccio, per voi, è una promessa

quasi d’eternità. Eppure, dopo lo sgomento

dei primi sguardi, e lo struggersi alla finestra

e la prima passeggiata fianco a fianco, una volta per il giardino,

amanti, siete amanti ancora? Quando vi sollevate

per porvi alla bocca l’un l’altro -: bevanda a bevanda :

o come stranamente bevendo sfuggire a quel bere.

Non vi stupì sulle attiche stele, la discrezione

del gesto umano? E come posa lieve

sulle spalle Amore e Addio, come se fosse

d’altro che da noi? Rammentate le mani,

come posano senza peso, e sì che nei torsi c’è vigore.

Questi maestri della misura sapevamo : noi arriviamo fin qui,

questo è nostro, di toccarci così, più forte

ci gravano gli Dei. Ma è cosa degli Dei.

Lo trovassimo anche noi un umano

puro, contenuto, ristretto, una striscia nostra di terra feconda

tra fiume e roccia. Perché il nostro cuore ci trascende

ancora, come il loro trascendeva loro: Ma non possiamo più

perseguirlo in immagini dov’esso si plachi, né

in corpi divini dove, più grande, si moderi.


















































[Da Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, 1923]