Se esiste un disturbo legato all'inversione dei ritmi sonno/veglia anche al di fuori di quelli causati dai viaggi tra fusi orari, io ne soffro di sicuro. In generale vado a letto abbastanza tardi e la mattina per me è sinonimo di tortura, ma prima d'ora non avevo mai raggiunto tali livelli di squilibrio.
Ieri mattina mi sveglio presto: alle 8, poi alle 8.30, poi alle 9.30 (è la prassi). Ho revisione al Politecnico e così ci vado a piedi. Mezz'ora abbondante per arrivare, trenta secondi di revisione, e di nuovo sulla via del ritorno, sempre a piedi. La distanza è lunghetta, saranno 2 chilometri e passa, ma ci sono abituata.
Tornata a casa, dopo pranzo, prima botta di sonno. È normale, direte. Certo, la sera prima avevo fatto forse le 2.30, diciamo che ci sono state nottate migliori. Ma è pur vero che se devi uscire di casa alle 14 (sempre per tornare al Politecnico), non è il caso che ti metta a dormire alle 13.55. Perchè poi è chiaro che ti svegli di soprassalto alle 14.25, con la lezione che inizia alle 14.30.
Va bene, allora scrocco un passaggio in macchina e il ritardo del professore mi aiuta a non perdere la lezione (e persino a schiaffarci di mezzo un salto dal giornalaio che in mattinata aveva cercato di rifilarmi Area 96 al posto di Area 97: welcome to the jungle). Lezione che si prolunga ben più del previsto, peraltro, e tra frizzi e lazzi non sono a casa che per le 19.30.
Il tempo di dire "ai e bai" (modo di dire popolare preso a prestito da mio padre, che peraltro data la sua ossessione potrebbe tranquillamente mutarlo in "I eBay" rendendolo senza dubbio più credibile) ed è l'ora di cena.
Altra botta di sonno. Ma di quelle pesanti. Scatta così il rito del riposino prima di dormire, usanza da me inventata che, insieme a quella dello spuntino prima di mangiare, può solo vagamente dare un'idea della sregolatezza totale delle mie abitudini basilari.
Per farla breve, dormo dalle 21 a mezzanotte. Poi mi sveglio, un po' rinvigorita. Le ultime attività, e per l'una posso andare a dormire sul serio. Solo che non ho più sonno. Mi rivolto tra le lenzuola per un'oretta e poi mi arrendo, non è cosa. Quasi quasi mi metto a leggere.
Ma anche su questo fronte le cose non vanno lisce come dovrebbero. Perché dovete sapere che per me leggere a letto è una tragedia. In generale mi addormento nel giro di dieci minuti ogni qualvolta mi trovi in posizione orizzontale o anche solo vagamente obliqua (purché non in compagnia, è ovvio), a prescindere da quale sia il supporto: di conseguenza leggere a letto mi riesce impossibile. Questo indubbio vantaggio, però, per una certa insana ironia, si annulla in caso di insonnia notturna. E così, se intendo procurarmi un po' di sonnolenza, leggere è addirittura controindicato, perché finisce che l'interesse per l'argomento mi fa addirittura dimenticare che dovrei dormire e mi ritrovo a salutare l'alba.
Mi è stato suggerito, in questi casi, di leggere qualcosa che mi annoi mortalmente. Questo potrebbe in effetti funzionare, se non fosse che, così facendo, dopo poco mi ritrovo inesorabilmente a seguire i caratteri solo con gli occhi, come se fossero segni privi di significato, mentre la mente lavora assai più prolificamente a fantasie di un qualsivoglia altro genere, che comunque in definitiva non facilitano il sonno; e in ogni caso, se anche così non fosse, l'edonismo di cui sono preda in questo periodo mi impedirebbe fisicamente di occuparmi di qualcosa che non mi interessi, ripagandomi in quelle occasioni con un vero e proprio malessere somatico oltre che con un insostenibile fastidio psicologico. Un'intolleranza alla noia, in qualche modo.
Stanotte, dunque, ho finito di leggere L'architettura difficile - filosofia del costruire, di Nicola Emery, edito da Marinotti. È di questo che si sarebbe dovuto occupare il post di oggi, ma devo arrendermi per l'ennesima volta alla dolorosa constatazione che le mie capacità oratorie sono assai più inclini a lasciarsi mettere a frutto nel futile piuttosto che nell'utile. Di conseguenza, non so neanche se sia o meno il caso di accennare una critica al testo: non confidando molto nella scorrevolezza della mia scrittura, temo infatti di aver ben superato il quarto d'ora di attenzione a mia disposizione in quanto blogger, con questa interminabile serie di fandonie.
Sarà per il prossimo post, allora. Che brivido, che suspance!
Ieri mattina mi sveglio presto: alle 8, poi alle 8.30, poi alle 9.30 (è la prassi). Ho revisione al Politecnico e così ci vado a piedi. Mezz'ora abbondante per arrivare, trenta secondi di revisione, e di nuovo sulla via del ritorno, sempre a piedi. La distanza è lunghetta, saranno 2 chilometri e passa, ma ci sono abituata.
Tornata a casa, dopo pranzo, prima botta di sonno. È normale, direte. Certo, la sera prima avevo fatto forse le 2.30, diciamo che ci sono state nottate migliori. Ma è pur vero che se devi uscire di casa alle 14 (sempre per tornare al Politecnico), non è il caso che ti metta a dormire alle 13.55. Perchè poi è chiaro che ti svegli di soprassalto alle 14.25, con la lezione che inizia alle 14.30.
Va bene, allora scrocco un passaggio in macchina e il ritardo del professore mi aiuta a non perdere la lezione (e persino a schiaffarci di mezzo un salto dal giornalaio che in mattinata aveva cercato di rifilarmi Area 96 al posto di Area 97: welcome to the jungle). Lezione che si prolunga ben più del previsto, peraltro, e tra frizzi e lazzi non sono a casa che per le 19.30.
Il tempo di dire "ai e bai" (modo di dire popolare preso a prestito da mio padre, che peraltro data la sua ossessione potrebbe tranquillamente mutarlo in "I eBay" rendendolo senza dubbio più credibile) ed è l'ora di cena.
Altra botta di sonno. Ma di quelle pesanti. Scatta così il rito del riposino prima di dormire, usanza da me inventata che, insieme a quella dello spuntino prima di mangiare, può solo vagamente dare un'idea della sregolatezza totale delle mie abitudini basilari.
Per farla breve, dormo dalle 21 a mezzanotte. Poi mi sveglio, un po' rinvigorita. Le ultime attività, e per l'una posso andare a dormire sul serio. Solo che non ho più sonno. Mi rivolto tra le lenzuola per un'oretta e poi mi arrendo, non è cosa. Quasi quasi mi metto a leggere.
Ma anche su questo fronte le cose non vanno lisce come dovrebbero. Perché dovete sapere che per me leggere a letto è una tragedia. In generale mi addormento nel giro di dieci minuti ogni qualvolta mi trovi in posizione orizzontale o anche solo vagamente obliqua (purché non in compagnia, è ovvio), a prescindere da quale sia il supporto: di conseguenza leggere a letto mi riesce impossibile. Questo indubbio vantaggio, però, per una certa insana ironia, si annulla in caso di insonnia notturna. E così, se intendo procurarmi un po' di sonnolenza, leggere è addirittura controindicato, perché finisce che l'interesse per l'argomento mi fa addirittura dimenticare che dovrei dormire e mi ritrovo a salutare l'alba.
Mi è stato suggerito, in questi casi, di leggere qualcosa che mi annoi mortalmente. Questo potrebbe in effetti funzionare, se non fosse che, così facendo, dopo poco mi ritrovo inesorabilmente a seguire i caratteri solo con gli occhi, come se fossero segni privi di significato, mentre la mente lavora assai più prolificamente a fantasie di un qualsivoglia altro genere, che comunque in definitiva non facilitano il sonno; e in ogni caso, se anche così non fosse, l'edonismo di cui sono preda in questo periodo mi impedirebbe fisicamente di occuparmi di qualcosa che non mi interessi, ripagandomi in quelle occasioni con un vero e proprio malessere somatico oltre che con un insostenibile fastidio psicologico. Un'intolleranza alla noia, in qualche modo.
Stanotte, dunque, ho finito di leggere L'architettura difficile - filosofia del costruire, di Nicola Emery, edito da Marinotti. È di questo che si sarebbe dovuto occupare il post di oggi, ma devo arrendermi per l'ennesima volta alla dolorosa constatazione che le mie capacità oratorie sono assai più inclini a lasciarsi mettere a frutto nel futile piuttosto che nell'utile. Di conseguenza, non so neanche se sia o meno il caso di accennare una critica al testo: non confidando molto nella scorrevolezza della mia scrittura, temo infatti di aver ben superato il quarto d'ora di attenzione a mia disposizione in quanto blogger, con questa interminabile serie di fandonie.
Sarà per il prossimo post, allora. Che brivido, che suspance!