Anche la disperazione impone dei doveri
e l'infelicità può essere preziosa
non si teme il proprio tempo è un problema di spazio
non si teme il proprio tempo è un problema di spazio
[CSI - La linea gotica]
Basta, occorre che io scriva.
Ragazzi, amici bloggers baresi, vi chiamo ad esprimervi su una questione per me fondamentale.
Pur non potendomi dire propriamente vicina alla laurea, sento ormai da tempo il peso delle risoluzioni che ci si aspetta che io prenda riguardo al mio imminente futuro.
Come sapete, il mio campo (mio? E da quando? Quanti dubbi ancora irrisolti m’impediscono di abbandonarmi completamente alla vocazione?) è l’Architettura con tutti i suoi dintorni, e come certo anche saprete, Bari non è una città in cui per un architetto sia poi semplice trovare risposta alle proprie aspirazioni. Dunque, sembra prospettarsi per me quasi ovvia la scelta della partenza, prima o poi; se io lo voglia o no, non è né chiaro, né a quanto pare importante.
Certo, ho avvertito spessissimo chiari segni da parte mia di una sincera vocazione al nomadismo. Ho voglia di stare per un po’ in un posto dove mi sia necessario parlare un’altra lingua, e poi un’altra, e poi un’altra. Non che non ami la mia, tutt’altro, mi sapete senz’altro feticistissima al riguardo. Ma così, per cambiar aria, per imparare tutto ciò che la mia storia personale mi ha impedito di apprendere finora.
Ma l’altra faccia di questa medaglia (al valore perduto) è il dolore che già oggi provo al pensiero della partenza. Lasciare tutto ti sradica, bando ad illusioni contrarie, ed io ho paura. Paura di ascoltare per telefono quella voce strana che mia madre fa quando sono lontana, anche solo per poco: una voce diversa, una voce per estranei. Ho paura di non poter vedere i miei invecchiare e mio fratello diventare un uomo. Per come son fatta, prima o poi gli impegni mi fagociterebbero, e riuscirei a vederli pochissimo. Talmente mi fa soffrire questo che scrivo, colleghi, che lo faccio a fatica.
Eppure, qui non si può restare. Per quanto io l’ami, questa città è una delusione continua. Per qualsiasi minuscola cosa ci si deve scontrare contro muri di disperazione, di noia, di indifferenza, di sonno. Io la difendo a spada tratta sempre, la mia tana; fronteggio detrattori di tutte le specie, con tutti gli argomenti che posso, primo l’orgoglio.
Ma poi, quando resto con te da sola, mia patria malata, sei proprio tu ad allontanarmi. Non è così? Come la lupa amorevole con il cucciolo ormai grande.
Che devo fare?
Sperimentare la vita vera al di là della linea d’ombra? Scoprire di quanto mi sono privata fino ad oggi, dolermene tanto da non riuscire ad impadronirmene, e tornare con la coda tra le gambe? Oppure, mandare tutto al proprio fanculo, scappare, sperare di sfondare (dove? chi?), dimenticare il resto?
Ecco che qui ricorro al vostro capezzale, allora, voi che conoscete ciò di cui parlo, fratelli miei!
Io conosco certi di voi, come me, che hanno ancora speranze per questa città. Che farete? Resterete? Se solo fossimo così tanti, così forti da ricostruire ciò che anni di silenzio hanno distrutto… Riempiamo Bari di gallerie d’arte, di movimento, parliamo! Che ci sia ad ogni angolo musica e colore; che si formino salotti, riviste, opinioni; che s’ami quanto c’è da amare, ed odi quanto lo occulta.
Vi prego, io andrò via, ma voglio tornare; ditemi che lo faremo tutti, che ci sarà un futuro per il luogo in cui siamo nati!