8.8.09

Prolegomeni ad ogni metafisica del futuro

Le leggi del caos


Vi propongo una riflessione estemporanea.

Come sa chi mi conosce un poco, la maggior parte dei miei turbamenti esistenziali si condensa, a volerla far semplice, nell’espressione popolare “chi troppo vuole nulla stringe”; il vano desiderio di una conoscenza enciclopedica era, per l’appunto, quello che mi aveva spinto alla scelta universitaria. Una ingegneria, certo, ma un’ingegneria mista, nella quale trovasse posto tanto l’analisi matematica vettoriale quanto la storia del design, tanto la chimica subatomica quanto il disegno d’architettura.
Bene, oggi che comincio a intravedere la fine di questa avventura formativa e che quindi posso guardarla, per così dire, “da lontano”, nella sua interezza, mi sembra si delinei alquanto chiaramente che questa ha seguito sempre un unico disegno. E che questo disegno, anche se a mia insaputa, è risultato alla fine essere quello che avevo cercato sin dal primo momento. Tutto ciò non può che riempirmi di gioia.

Eppure, non avrei mai pensato di poter riuscire in un simile compito. Quando finii le scuole medie e mi ritrovai a dover fare l’epica scelta tra liceo classico e liceo scientifico, per un lungo periodo ero molto scettica rispetto a quest’ultimo perché, udite, credevo di non essere tagliata per il disegno tecnico. Una certa carenza di lungimiranza, è il caso di dire. Quando poi ero sul punto di finire il liceo, appunto scientifico, avrei assai volentieri preso filosofia. O, in ogni caso, credevo che sarei diventata tutto fuorché un ingegnere, idea che mi disturbava, quantomeno se applicata alla mia persona. E invece, nell’ultima settimana disponibile per le iscrizioni operai la mia scelta “definitiva” convinta dal piano di studi, ma soprattutto da alcune iniziali inclinazioni per il restauro, senz’altro retaggio di una famiglia di cultori dell’antiquariato e del collezionismo (e di cordiali detestatori di qualsiasi cosa, in arte, possa vantare meno di due o tre secoli d’età). Mai avrei pensato di potermi interessare alla progettazione. Anzi, conservavo molti dubbi sulle possibilità dell’architettura contemporanea di interessarmi veramente. La consideravo, tutto sommato, una materia sterile.

Analizzando a posteriori questa mia patologica incapacità di fare previsioni sul mio avvenire mi sono spesso chiesta se presto o tardi non sarei finita ad insegnare meccanica razionale in un cantone svizzero. Ad oggi, otto agosto duemilanove, questa possibilità mi sembra alquanto lontana (ma la misura di quanto ne sono grata potrebbe essere un ottimo indicatore in senso contrario, a voler seguire il trend d’incongruenza adottato finora). In compenso, sto preparando la tesi, una tesi complessa il cui argomento ho la fortuna di aver potuto scegliere in tutta libertà, e la sorpresa che provo ogni passo di documentazione che compio continua a raccontarmi dell’apparente impredicibilità della mia esistenza, e contemporaneamente della sua precisa conformazione ad una scala più ampia. Ancora una volta, ad esempio, mi trovo faccia a faccia con temi e romanzi di fantascienza, genere che mai prima d’oggi mi aveva interessato in alcun modo e dal quale adesso non posso più prescindere.

E tuttavia – è qui che volevo andare a parare – oggi vedo che ognuno dei repentini cambi di rotta compiuti rispetto ad ogni mia personale metafisica del futuro non ha fatto che condurmi nell’unica direzione per me da sempre immutata: quella dell’invincibile tensione eclettica.
La mia scrivania salentina è coperta di libri. William Gibson e Philip K. Dick, ma anche Borges e Baudrillard. Due libri di cronaca scientifica sul caos matematico. Due Derrida e un McLuhan. Libri di neuroscienze e di informatica. Titoli dal sapore visionario e classici intramontabili di narrativa.
In sostanza oggi ho capito che il premio per l’onestà intellettuale nei confronti di se stessi è la realizzazione di una visione complessiva che si verifica anche quando un desiderio profondo sembra essere stato messo nel cassetto. Con buona pace di chi disse il contratio, la vita è ciò che progettiamo mentre siamo occupati a far accadere altre cose.